Fascinazioni

Francis Ponge

 

La candela

 

La notte a volte ravviva una pianta singolare il cui bagliore scompone le camere ammobiliate in cespugli d’ombra. 
La sua foglia d’oro si regge impassibile nel cavo di una colonnetta di alabastro, attraverso un peduncolo nerissimo. 
Le farfalle povere la assalgono preferendola alla luna troppo alta, che vaporizza i boschi. Ma subito bruciate o sfinite nella battaglia, tutte fremono sull’orlo di una frenesia vicina allo stupore. 
Intanto la candela, con il vacillare dei chiarori sul libro nel brusco sprigionarsi dei fumi originari, incoraggia il lettore – poi si inclina sul suo piatto, e affoga nel suo alimento.

 

*

 

I piaceri della porta

 

I re non toccano le porte.

Non conoscono questa felicità: spingere davanti a sé con dolcezza o bruscamente uno di quei grandi pannelli familiari, voltarsi verso di esso per rimetterlo a posto, – tenere fra le braccia una porta.

…La felicità di impugnare al ventre, per il suo nodo di porcellana, uno di quegli alti ostacoli di una stanza; quel corpo a corpo rapido con il quale per un istante trattenuto il passo, l’occhio si apre e il corpo intero si accomoda al suo nuovo appartamento.

Con mano amichevole la trattiene ancora, prima di respingerla decisamente e di rinchiudersi – cosa di cui lo scatto della molla potente ma ben oliata lo assicura piacevolmente.

 

*

 

Il ciclo delle stagioni

 

Stanchi di essersi contratti per tutto l’inverno, gli alberi all’improvviso si lusingano dell’essere ingannati. Non ce la fanno più: lasciano andare le parole, un flusso, un vomito di verde. Cercano di raggiungere un infogliamento completo di parole. Tanto peggio! Tutto si metterà in ordine come potrà! Ma, in realtà. si mette in ordine! Nessuna libertà nell’infogliarsi… Lanciano, perlomeno lo credono, parole qualsiasi, lanciano gambi per appendervi ancora parole: i nostri tronchi, pensano, ci stanno per assumersi tutto. Cercano di nascondersi, di confondersi gli uni con gli altri. Credono di poter dire tutto, di poter ricoprire il mondo intero con parole variegate: non dicono altro che «gli alberi». Neanche capaci di trattenere gli uccelli che se ne volano via, mentre essi si rallegravano di aver prodotto fiori così strani. Sempre al stessa foglia, sempre lo stesso modo di spiegarsi, e lo stesso limite, sempre foglie simmetriche a se stesse, simmetricamente sospese! Tenta, ancora una foglia! – La stessa! Ancora un’altra! La stessa! Niente insomma che possa fermarli se non improvvisamente questa riflessione: «Non si esce dagli alberi con mezzi di alberi». Una nuova stanchezza, un nuovo capovolgimento morale. «Lasciamo che tutto questo ingiallisca, e cada. Venga lo stato taciturno, lo spoglio, l’AUTUNNO».

 


F. Ponge, Il partito preso delle cose, Einaudi 1979. A cura di Jacqueline Risset.

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