Libri

Guido Dorso, La rivoluzione meridionale, Feltrinelli 2025

 

[…] E per la prima volta nel libro ecco apparire il punto focale che specialmente interessava Dorso (e che lo differenziava profondamente dal vecchio meridionalismo): la creazione di una classe dirigente meridionale “nuova”, “giovane”, costituita da ceti non parassitari ma operosi e attivi nella realtà del Sud (fossero ceti espressi dalle professioni liberali, di formazione umanistica, o anche tecnici, ingegneri, esperti di agricoltura e bonifica, uomini di banca e di finanza, imprenditori liberi da condizionamenti dell’ambiente), che assumesse su di sé il compito storico del riscatto del Sud e, attraverso di questo, dell’Italia tutta. […] L’ultima parte del libro riguardava la “rivoluzione meridionale”: breve e concisa, si articolava nella critica allo stato, nella sua evoluzione storica come nemico del Sud, e culminava poi nella definizione della questione meridionale come questione eminentemente “politica”: cioé

risolubile, prima ancora che nel campo legislativo, nelle coscienze individuali, cioè in quell’azione più strettamente e più spiritualmente politica, destinata a preparare l’humus su cui lo Stato di diritto dovrà finalmente sorgere.

[…]

Dallo scritto di Guido Melis

L’opera principale di Guido Dorso, concepita tra il 1923 e il 1924 sulla base degli articoli giornalistici e di altri contributi significativi raccolti e riorganizzati dall’autore, era dedicata all’esame della lotta politica in Italia, con l’inserimento della sua descrizione all’interno di un quadro storico definito, che collocava il Mezzogiorno al centro delle vicende nazionali. Il contesto generale era costituito dalla crisi del regime liberale e dalle origini del fascismo, che evidenziavano i limiti di uno “Stato accentratore” e il peso di una irrisolta “questione meridionale”, che, anzi, conosceva un acuto aggravamento proprio nel periodo tra le due guerre mondiali. La chiave di lettura di questa analisi era fornita dalla constatazione di un “compromesso” istituzionale e politico favorito da una classe dirigente inadeguata, pronta a reiterare comportamenti trasformistici, senza alcuna forma di ripensamento o novazione. La “rivoluzione” era lo strumento concreto per dispiegare un’azione politica consapevole e coerente, volta all’obiettivo di un cambiamento sistemico, a cominciare da un processo di radicale palingenesi dei ceti dominanti, soprattutto nei territori meridionali. […]

Al pari di Salvemini, egli considerava il centralismo un malanno endemico della vicenda politica unitaria, che aveva penalizzato duramente il Mezzogiorno. La rivoluzione meridionale, guidata da “cento uomini d’acciaio”, era la base di partenza per un processo di radicale trasformazione dell’Italia. Secondo la convinzione di Dorso, era necessario che i giovani meridionali abbandonassero uno stato di rassegnazione, per dimostrare la capacità di azione dell’élites del Sud:

Ma se la gioventù meridionale – questa mirabile gioventù così assetata di giustizia e verità – […] non sentirà il pungolo della resurrezione e riprenderà, triste e scorata, la dolorosa via dei piccoli impieghi e della dedizione allo Stato violento ed accentratore, allora anche i pochi semi che sono nati per caso nell’arido terreno del Mezzogiorno saranno sommersi, e nuovi sistemi di compressione e di sfruttamento risorgeranno dalle ceneri ove ora sembrano sepolti.

[…]

Dallo scritto di Amedeo Lepore

L’Unità d’Italia, si sa, fu il risultato di una pluralità di forze e tensioni mai realmente armonizzate fra loro, che l’impresa garibaldina da un lato e le manovre di Cavour e Giolitti dall’altro riuscirono a far convergere per il tempo necessario a realizzare lo scopo. Il Paese che ne risultava era un mosaico di tradizioni, culture e, soprattutto, realtà socioeconomiche molto diverse fra loro, portatrici fin dall’inizio di squilibri che con il tempo, lungi dal sanarsi, sono andati cronicizzandosi e aggravandosi. L’asimmetrica distribuzione delle risorse tra Nord e Sud all’indomani della “conquista regia”; il vecchio ordinamento del Mezzogiorno rimasto troppo a lungo intatto; il trasformismo forzato da Mussolini: tutto ciò, scrive Guido Dorso nel 1925, non ha fatto altro che esacerbare la tendenza della borghesia meridionale all’assenteismo politico e alla corruzione. E, in mancanza di un Meridione consapevole, parlare di Italia diventa impossibile. È per questo che, in pagine lucidissime, Dorso prospetta i contorni di una rivoluzione sociale volta a responsabilizzare il Sud Italia e invertire la marcia di una nazione che, nella sua incapacità di raggiungere le periferie, portava già in grembo i semi della crisi di oggi. Messo all’indice dalla propaganda fascista, a cento anni di distanza questo libro continua a descrivere una situazione tristemente reale. E il suo invito a sprigionare il potenziale inespresso del Meridione rimane più che mai valido e urgente.

Dalla quarta di copertina

G. Dorso, La rivoluzione meridionale, Feltrinelli 2025. Con un testo di Nicola Lagioia, con scritti di Luigi Fiorentino, Amedeo Lepore e Guido Melis.

Guido Dorso (Avellino 1892–1947) avvocato e giornalista, è stato un politico, meridionalista e antifascista italiano. Noto anche per il taglio meridionalista dei suoi articoli interventisti pubblicati sul «Popolo d’Italia». Nel 1923 inizia la collaborazione con Piero Gobetti scrivendo per «Rivoluzione Liberale» diversi articoli, tra cui un Appello ai meridionali. Presso la casa editrice torinese esce nel 1925 il suo saggio La rivoluzione meridionale. Saggio storico-politico sulla lotta politica in Italia. Dopo la caduta del fascismo si iscrive al Partito d’Azione e ne dirige il quotidiano «L’Azione». Tra le sue ultime pubblicazioni, La dittatura borghese da Napoleone a Hitler e La classe politica e la classe dirigente.

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