Stig Dagerman, L’isola dei condannati, Ortica 2025
[…] Lucas Egmont giaceva prono, la gamba sana premuta con forza contro il terreno, in una posizione solo apparentemente sicura, perché ben presto, dopo il tramonto, la sabbia cominciava a irradiare una sensazione di freddo tagliente e aggressiva, che avvolgeva gli arti in una membrana inesorabile, dura come una corazza e sempre più resistente, via via che l’isola precipitava nella notte.
Sì, precipitava. Era forse il solo a notare che le notti non calavano più da una sorta di tetto posto in alto o che il giorno non veniva più soffiato come un gas bianco in quel contenitore nero? No, i cambiamenti erano netti e inaspettati; candele che venivano accese sì da produrre una fiamma che appariva affidabile, salvo essere poi soffocate con altrettanta rapidità – ma la mano che le strozzava non si faceva mai vedere. Era l’unico su quel pianeta in caduta, su quella sfera di pietra cosparsa di sabbia che sfrecciava giù dentro il pozzo del mondo? […]
Dal capitolo “I naufraghi”
È la gioia del lottare, non quella del raggiungere l’obiettivo, che ci impedisce di soccombere.
Chi non teme la vita nemmeno la amerà, chi non nutre la paura dentro di sé non vi reperirà nemmeno il coraggio, chi non teme la morte non potrà neanche morire con dignità, e chi non teme se stesso non potrà neppure amare un’altra persona.
Sarò fedele alla mia direzione e a tutto ciò che in essa confluisce: la mia paura, la mia fame, la mia sete, la mia disperazione, il mio dolore, il mio desiderio, la mia paralisi, i miei impulsi sessuali, il mio odio, la mia morte. Sì, entro i limiti della mia direzione sarò così fedele alla mia morte che, senza un brivido ma con grata indifferenza per aver avuto la possibilità di vivere, potrò camminare sulla sabbia, penetrare lentamente in acqua e lì…
Dalla quarta di copertina
Immagini di terrore, di incubo circondano sette naufraghi (due donne e cinque uomini) – protagonisti di questo secondo romanzo di Dagerman – che aspettano la morte su un’isola misteriosa, immaginaria, dove sono stati scaraventati con poca acqua e poco cibo, feriti nel corpo e soprattutto nello spirito. Un’isola simbolica in cui i naufraghi vengono sottoposti alle sofferenze del mondo con la possibilità per il lettore di “osservarle, di comprenderle e combatterle sul piano del possibile”. I naufraghi sono preda dei loro incubi, delle loro paure più profonde. In mezzo ad una natura nemica, i sette personaggi portano in scena una furia distruttiva senza salvezza. Ognuno di loro, nel comune destino che li accerchia, raffigura una particolare forma di paura, una particolare forma di angoscia. Senso di colpa, solidarietà, individuo contro organizzazione sociale, solitudine, tempo, dolore, pervadono questo romanzo onirico realistico simbolico.
Due cose mi riempiono di terrore: il carnefice in me e la mannaia sopra di me.
Dal risvolto
S. Dagerman, L’isola dei condannati, Ortica 2025. traduzione di Giovanni Agnoloni.
Stig Dagerman (1923-1954). Scrittore, giornalista e anarchico svedese. Morì suicida a 31 anni. Abbandonato dalla madre in tenera età, visse con i nonni paterni nella loro fattoria fino al 1940, anno della loro morte. Quindi raggiunse il padre, operaio, a Stoccolma. Tramite lui, Dagerman venne in contatto con il movimento anarco-sindacalista e si riconobbe immediatamente nei valori di giustizia sociale e di libertà che caratterizzano l’ideologia anarchica. La sua fu una scelta di impegno etico e politico, frutto della volontà di mettersi dalla parte degli sconfitti.
Fra le sue opere: Bambino bruciato, Autunno tedesco, Il serpente.