Esperienze

Un uomo potente e singolare, di Giuseppe Zuccarino

 

Fra gli artisti maggiormente apprezzati da Baudelaire, è senz’altro da annoverare Charles Meryon [1]. Benché oggi gli esperti lo considerino uno dei maggiori acquafortisti del XIX secolo, il suo lavoro non è molto noto, specie in Italia, sicché conviene fare almeno qualche accenno alle sue vicende biografiche. Era nato a Parigi nel 1821, da Narcisse Chaspoux – che si esibiva come danzatrice classica, prima nella capitale francese, poi a Londra – e dal medico inglese Charles Lewis Meryon. Anche dopo il rientro della madre a Parigi, il dottor Meryon, che lavora in un ospedale londinese, si mantiene in contatto epistolare con lei e la aiuta economicamente. Il piccolo Charles, durante il decennio 1826-36, alloggia in un pensionato per studenti a Passy, località alla periferia di Parigi. Frequenta il padre solo per un breve periodo, quando il genitore, nel frattempo sposatosi con un’altra donna, risiede a Marsiglia. Nel 1838 viene ammesso alla scuola navale di Brest (dove fra l’altro ha modo di esercitarsi nel disegno) e negli anni successivi compie i primi viaggi marittimi: ad Algeri, a Tunisi, in Grecia, in Turchia. Poi, tra il 1842 e il 1846, partecipa addirittura a una circumnavigazione del globo a bordo della corvetta Le Rhin. Durante il lunghissimo viaggio, oltre a ricevere la promozione a ufficiale di marina, esegue numerosi lavori grafici, specialmente paesaggi e ritratti di ambientazione esotica [2].

Dopo il suo rientro a Parigi, annuncia in una lettera al padre che d’ora in poi ha intenzione di dedicarsi esclusivamente all’arte: «Ho appena preso una grande decisione, o quanto meno una decisione di primaria importanza per me: stanco della professione che ho esercitato fino ad oggi e ancora abbastanza giovane da poter intraprenderne un’altra, mi dispongo a dedicarmi interamente allo studio dell’Arte, e a sacrificare ad esso tutti i miei averi. Non so quel che mi attende, forse la Miseria, ma vi assicuro che rimpiangerei per tutta la vita il fatto di non aver tentato la sorte in questa direzione. Se, da qui a due, tre o quattro anni, potrò acquisire un talento che mi conceda di che vivere, vi garantisco che troverò qui, più che ovunque altrove, quella soddisfazione interiore che è l’unica a poter offrire momenti di felicità» [3].

In effetti, comincia a prendere lezioni di pittura e, due anni dopo, si dimette definitivamente dalla Marina. Durante la rivoluzione del 1848, è tra i sostenitori della repubblica e fa parte della Guardia nazionale. Lo stesso anno un suo disegno a pastello viene esposto al Salon [4]. Egli rinuncia a realizzarne una versione dipinta ad olio perché, sapendo di essere daltonico, si ritiene poco adatto all’uso del colore. Da quel momento, sceglie di ripiegare sull’acquaforte e diventa allievo di un esperto di tale tecnica, Eugène Bléry. Comincia dunque a realizzare incisioni, che tuttavia solo di rado riesce a vendere, per somme modeste. La penuria economica, lo scarso successo della sua produzione artistica e le delusioni amorose favoriscono in lui l’insorgere di disturbi psichici: allucinazioni, stati depressivi, delirio di persecuzione, credenze superstiziose. A partire dal 1850, esegue i suoi lavori più celebri, le ventidue Eaux-fortes sur Paris, grazie alle quali il suo nome diviene noto in ambito artistico. Però il suo stato mentale peggiora, rendendo necessario, nel periodo 1858-59, il suo ricovero nel manicomio di Charenton. Anche se ne esce parzialmente ristabilito, a partire dal 1867 il suo internamento diviene definitivo: morirà infatti a Charenton nell’anno seguente.

Tra i vari lavori dell’artista, Baudelaire conosce e ammira soprattutto le acqueforti su Parigi, a cui fa più volte riferimento, sia negli scritti editi che nelle lettere. In una di queste ultime, egli chiede a un amico: «Cercate dunque di scroccare per me a Édouard Houssaye tutte le immagini di Meryon (vedute di Parigi), delle buone stampe su carta di riso» [5]. In effetti riuscirà ad ottenere ciò che desidera. Nella sezione del Salon de 1859 dedicata alla pittura di paesaggio, Baudelaire deplora il fatto che, nell’esposizione, siano poche le opere pertinenti a «un genere che definirei volentieri il paesaggio delle grandi città, ossia la raccolta delle grandezze e delle bellezze che derivano da un possente agglomerato di uomini e di monumenti, il fascino profondo e complesso di una capitale antica e invecchiata nelle glorie e nelle tribolazioni della vita» [6]. Eppure esiste un’eccezione: «Alcuni anni fa, un uomo potente e singolare, a quanto si dice un ufficiale di marina, aveva iniziato una serie di studi all’acquaforte ispirati alle vedute più pittoresche di Parigi. Per l’asprezza, l’eleganza e la fermezza del disegno, Meryon ricordava gli antichi ed eccellenti acquafortisti. Raramente ho visto rappresentata con maggiore ricchezza poetica la solennità naturale di una città immensa. La maestà delle pietre sovrapposte a strati, i campanili che additano il cielo, gli obelischi dell’industria che vomitano contro il firmamento le loro coalizioni di fumo, le prodigiose impalcature dei monumenti in restauro, che rivestono il corpo solido degli edifici con il loro traforo architettonico di una bellezza così paradossale, il cielo in tumulto, saturo di collera e di rancore, la profondità delle prospettive accresciuta dal pensiero di tutti i drammi che vi sono contenuti, nessuno dei complessi elementi di cui si compone il doloroso e glorioso paesaggio della civiltà veniva dimenticato. Se Victor Hugo ha potuto vedere queste eccellenti stampe, ha dovuto allietarsene» [7].

Volendo averne conferma, l’autore di Les Fleurs du Mal si rivolge per lettera ad Hugo: gli annuncia il prossimo invio, da parte dell’editore, di un esemplare delle vedute parigine di Meryon e trascrive alcuni brani dal Salon de 1859, tra cui quello che abbiamo appena citato [8]. Hugo risponde qualche mese dopo, ma lo fa elogiando il lavoro dell’incisore: «Dato che conoscete Meryon, ditegli che le sue splendide acqueforti mi hanno abbagliato pur essendo senza il colore, soltanto con l’ombra e la luce, unicamente col chiaroscuro lasciato a se stesso: ecco il problema dell’acquaforte. Meryon lo avverte in modo magistrale, e quel che fa è superbo; le sue tavole vivono, irraggiano e pensano. Egli è degno della pagina profonda e luminosa che vi ha ispirato» [9]. Il destinatario della lettera avrà senz’altro gradito anche un’altra osservazione: «Avete in voi, caro pensatore, tutte le note dell’arte, e dimostrate una volta di più la legge secondo cui, in un artista, il critico è sempre pari al poeta» [10]. Si tratta di un’idea cara a Baudelaire, convinto a sua volta del fatto che «è impossibile che un poeta non contenga in sé un critico» [11].

Nel Salon de 1859, la parte dedicata a Meryon si conclude con un accenno ai problemi mentali che affliggono l’artista e ne ostacolano la produttività: «Un demone crudele ha colpito il cervello di Meryon; un misterioso delirio ha confuso quelle facoltà che sembravano tanto solide quanto splendide. La sua gloria nascente e i suoi lavori sono stati di colpo interrotti. E da allora attendiamo sempre con ansia notizie consolanti di questo singolare ufficiale, che un giorno era divenuto un potente artista e aveva dato l’addio alle solenni avventure dell’Oceano per dipingere la nera maestà della più inquietante fra le capitali» [12].

Il poeta avrà modo di accertarsi dei disturbi psichici che affliggono l’incisore quando lo conoscerà di persona. In una lettera del gennaio 1860 diretta ad Auguste Poulet-Malassis, egli fornisce un ampio resoconto del suo primo incontro con l’artista. Era stato proprio quest’ultimo a contattarlo, sia pure scrivendo a un indirizzo sbagliato (Baudelaire risiedeva in quel periodo all’Hôtel de Dieppe): «Mi ha spedito il suo biglietto da visita e così ci siamo visti. Mi ha detto: “Abitate in un hôtel il cui nome deve avervi attratto, a causa del rapporto che ha, presumo, con i vostri gusti”. – Allora ho guardato la busta della sua lettera e c’era scritto: Hôtel de Thèbes, e nondimeno la lettera mi era arrivata lo stesso» [13].

Sorprendente è pure il modo in cui Meryon commenta le proprie incisioni su Parigi: «In una delle sue grandi tavole, ha sostituito a un piccolo pallone un nugolo di uccelli da preda, e siccome gli facevo notare che era inverosimile mettere tante aquile in un cielo parigino, mi ha risposto che la cosa non era priva di fondamento, poiché quelle persone (il governo dell’imperatore) avevano spesso liberato delle aquile per studiare i presagi secondo il rito, – e che tutto ciò era stato scritto sui giornali, persino su “Le Moniteur”. Devo dire che non nasconde in alcun modo il suo rispetto per tutte le superstizioni, ma le spiega male e vede intrighi ovunque» [14]. Un altro esempio di interpretazione delirante (in chiave simbolico-politica) delle proprie opere da parte di Meryon riguarda l’incisione Le Petit Pont (Baudelaire scrive per errore Le Pont-Neuf): «Mi ha fatto notare […] che l’ombra proiettata da una delle murature del Pont-Neuf sulla parete laterale del lungofiume rappresentava con precisione il profilo di una sfinge, che ciò era stato, da parte sua, del tutto involontario, e che aveva notato questa singolarità solo più tardi, ricordandosi che il disegno era stato fatto poco prima del colpo di Stato. Ora, il Principe è l’essere che attualmente, per i suoi atti e il suo volto, somiglia di più a una sfinge» [15].

Ancora più sorpreso rimane Baudelaire quando l’artista gli chiede se sappia qualcosa di un certo Edgar Poe. Il poeta ovviamente risponde che lo conosce meglio di chiunque altro, avendo dedicato parecchi anni a tradurre e commentare le opere dello scrittore americano. Meryon sostiene che, a suo avviso, i racconti editi a nome di Poe sono da attribuire «a una società di letterati molto abili, molto potenti e al corrente di tutto. Ed ecco una delle ragioni che adduce: “La Rue Morgue. Ho fatto un disegno della Morgue. Un Orangutan. Sono stato spesso paragonato a una scimmia. Quella scimmia assassina due donne, la madre e sua figlia. E anch’io ho moralmente assassinato due donne, la madre e la figlia. Ho sempre considerato il romanzo come un’allusione alle mie disgrazie. Mi fareste un gran piacere se poteste ritrovarmi la data in cui Edgar Poe (a voler supporre che non sia stato aiutato da nessuno) ha scritto questo racconto, per vedere se la data coincide con le mie avventure”» [16]. Dopo aver riferito questi e altri particolari della sua conversazione con Meryon, Baudelaire conclude rivolgendosi al proprio interlocutore epistolare: «Non ridete di tutto ciò al pari dei maligni. Per nulla al mondo vorrei nuocere a un uomo di talento… Dopo che mi ha lasciato, mi sono chiesto come mai io, che ho sempre avuto, nella mente e nei nervi, tutto ciò che occorreva per diventare pazzo, non lo sia diventato. Ho davvero rivolto al cielo i miei ringraziamenti da fariseo» [17].

Un amico del poeta, il fotografo Nadar, ha avuto modo di scoprire un’altra singolarità dell’artista. Meryon, come abbiamo appena visto, nutriva scarsa considerazione per il proprio aspetto fisico, dato che riferiva di essere stato più volte paragonato a una scimmia. In effetti, a un’incisione di Félix Bracquemond che lo aveva raffigurato di profilo, egli aveva aggiunto il seguente commento: «Messer Bracquemond / Ha dipinto in quest’immagine / Il cupo Meryon / Dal volto grottesco» [18]. Ciò spiega perché, pur ringraziando Nadar degli elogi rivolti al suo lavoro, aveva rifiutato senza esitazioni di essere fotografato da lui: «Voglio accettare solo una minima parte dei complimenti che mi fate per le incisioni su Parigi; ma sono molto lusingato che vi piacciano. In effetti nelle belle giornate, quando splende il sole, oppure nella pace della sera alla luce della lampada, la mente può fantasticare sull’aspetto dei luoghi o dei monumenti che le incisioni riproducono, e gli occhi provano un certo piacere nell’esaminare i dettagli che mi sono fatto scrupolo di indicare […]. Mi resta da rispondere alla vostra gentilissima proposta di eseguire il mio ritratto; ma penso che non occorra insistere molto per farvi capire che non è il caso, per parecchie ragioni. […] La mia maschera, poco attraente fin dall’origine, ha subìto l’influenza disastrosa di tutti gli screzi che ho dovuto sopportare, specie negli ultimi anni. Bisognerebbe dunque ricorrere troppo a quell’arte che, anche in fotografia, con un sapiente lavoro può correggere e sistemare, per poter fare, a partire da me, qualcosa di presentabile. Penso che condividerete il mio punto di vista» [19].

Ma torniamo al rapporto tra Baudelaire e l’artista. Nel febbraio 1860, il poeta riceve dall’editore di Meryon, Auguste Delâtre, l’incarico di scrivere dei testi per accompagnare le acqueforti su Parigi. Egli sarebbe lieto di accettare, ma insorgono dei problemi: «Delâtre mi prega di fare un testo per l’album. Bene! ecco un’occasione per scrivere delle fantasticherie di dieci, venti o trenta righe, le fantasticherie filosofiche di un flâneur parigino su delle belle incisioni. Ma interviene Meryon, che non intende le cose in questi termini. Bisogna dire: a destra si vede questo, a sinistra si vede quello. Bisogna cercare degli spunti nei vecchi libri. Bisogna dire: qui originariamente c’erano dodici finestre, che l’artista ha ridotto a dieci, e infine bisogna andare al Municipio a informarsi sull’epoca esatta delle demolizioni. Meryon parla con gli occhi rivolti al soffitto, e senza ascoltare alcuna osservazione» [20].

Il poeta dispone adesso di alcuni esemplari delle Eaux-fortes sur Paris (in parte stampate tra il 1852 e il 1854, solo nel 1861 saranno tutte raccolte in un album) e ne invia una copia alla madre. Successivamente, le spiega con precisione di cosa si tratta: «Ti dirò che le desideravo e le cercavo da molti anni. La prima volta che le vidi, mi parve che quest’uomo avesse del genio. È uscito da Charenton e non è guarito. Gli ho promesso di scrivere un testo per le sue incisioni. Ora, se tu potessi capire quanto è insopportabile conversare e discutere con un pazzo, penseresti come me che questi album li pago molto cari. Ti sbagli quando parli della vecchia Parigi. Sono vedute poetiche di Parigi com’era prima delle immense demolizioni e di tutti i restauri ordinati dall’Imperatore. In certi luoghi, vedrai persino (ad esempio la torre dell’orologio del Palais de Justice) gli edifici avvolti da un reticolo di impalcature. La galleria di Notre-Dame, con gli uccelli che entrano ed escono, è situata, credo, al di sopra del portale. La torretta della rue de la Tixeranderie è distrutta. La figura orrenda e colossale che serve da frontespizio è una di quelle che decorano l’esterno di Notre-Dame. Sullo sfondo, c’è Parigi vista dall’alto. Non so proprio come diavolo faccia quest’uomo a disegnare tranquillamente stando sopra un abisso» [21].

Per qualche tempo, il poeta è tentato di accogliere le richieste dell’artista: «Meryon ha respinto con una specie di orrore l’idea di un testo composto da dodici piccole poesie o sonetti; ha rifiutato l’idea di meditazioni poetiche in prosa. Per non affliggerlo, gli ho promesso di fare […] un testo non firmato, nello stile di una guida o di un manuale» [22]. Ma poi rinuncia del tutto all’idea. Svanisce così un progetto che, se si fosse realizzato nella maniera voluta da Baudelaire, gli avrebbe offerto la possibilità di scrivere dei versi o dei poèmes en prose che sarebbero stati senz’altro di grande interesse. I contatti fra il poeta e il pittore si diradano, fino a cessare del tutto. Tuttavia l’opinione positiva di Baudelaire sulle qualità del lavoro dell’incisore rimane intatta, come dimostra un suo articolo del 1862. In esso, egli riprende alla lettera un passo dal Salon de 1859, ma aggiunge altre considerazioni che vanno nello stesso senso. Definisce infatti Meryon «il vero prototipo dell’acquafortista perfettamente compiuto», e aggiunge: «Le sue stampe si fanno rare, poiché, in una crisi di malumore del resto legittimo, Meryon ha recentemente distrutto le lastre del suo album Paris. E subito dopo […] la collezione Meryon veniva messa all’asta a un prezzo quattro o cinque volte più alto del suo valore iniziale» [23]. Di questo improvviso successo l’artista non potrà beneficiare, anche perché, come già detto, si spegnerà in manicomio pochi anni dopo, nel 1868.

Uno dei primi studiosi a cogliere l’importanza di Meryon in rapporto all’autore di Les Fleurs du Mal è stato Walter Benjamin. Ciò emerge in particolare dalla sua opera incompiuta sul poeta, della quale restano due saggi (La Parigi del «Second Empire» in Baudelaire e Su alcuni motivi in Baudelaire), come pure una gran mole di materiali e appunti [24]. Ciò che in primo luogo colpisce il filosofo, è il fatto che Meryon raffigura nelle sue acqueforti la Parigi gotica, quella che i lavori di ristrutturazione urbanistica della città, diretti dal barone Haussmann a partire dal 1859, avrebbero distrutto in gran parte: «Diviene quadro ciò che sappiamo destinato a scomparire presto dalla nostra vista. Così accadde probabilmente, a quel tempo, con le strade di Parigi. In ogni caso, l’opera il cui nesso sotterraneo con il grande sovvertimento parigino è meno dubbio fu portata a termine alcuni anni prima che esso fosse compiuto. Si tratta delle vedute di Parigi incise all’acquaforte da Meryon. Nessuno ne fu più impressionato di Baudelaire» [25].

In effetti Meryon ha rappresentato alcuni monumenti poco prima o poco dopo la loro distruzione: così la torricella di rue della Tixeranderie, che dà il titolo a un’incisione del 1852, era già stata demolita l’anno precedente, mentre «è senza dubbio l’imminenza della distruzione del Petit Pont a tre arcate, sostituito nel 1853 da un ponte ad arcata unica, che l’ha guidato nella scelta del tema della sua prima acquaforte originale, così come quella della pompa del ponte Notre-Dame, che egli si affretta a disegnare prima che sia troppo tardi» [26]. Tale intenzione era ben chiara nella mente dell’artista: «In ciò che resta dell’antica Parigi ci sono molte cose da raffigurare, e ciò sarebbe tanto più vantaggioso e utile in quanto ogni giorno dei vecchi edifici, rispettabili per vari motivi, cedono il passo a dei nuovi, che sono di minor valore» [27].

Benjamin coglie alcune analogie, sul piano biografico, tra il poeta e l’incisore: «I due erano per molti aspetti affini. Nacquero lo stesso anno; morirono a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Entrambi morirono poveri e vittime di gravi turbe: Meryon demente a Charenton, Baudelaire ridotto al silenzio, in una clinica privata. Ad entrambi la fama giunse tardi. Di Meryon, sino a quando fu in vita, prese le parti quasi soltanto Baudelaire» [28]. Anche alcune osservazioni sparse del filosofo appaiono significative, come quando egli scrive: «Meryon evidenzia la maestà e la decrepitezza di Parigi», oppure quando nota che «le strade di Parigi sono in Meryon delle voragini al di sopra delle quali, lassù in alto, volteggiano le nuvole» [29]. Non gli sfugge neppure la dimensione fantasmagorica di certe tavole dell’artista, come nel caso di Le Ministère de la Marine: «La sua ultima acquaforte rappresenta il ministero della Marina in Place de la Concorde. Nelle nuvole si lancia verso il ministero un corteo di cavalli, carrozze e delfini. Non mancano navi e serpenti marini; si vedono nella schiera alcune creature di forma umana» [30]. Altri lavori dell’incisore confermano tale inclinazione al fantastico, benché essa si mostri perlopiù solo in alcune versioni delle acqueforti (ricordiamo che, a partire dalla stessa tavola, Meryon realizzava più varianti, il cui numero arrivava talvolta fino a dodici). Pensiamo ad esempio a Tourelle dite de Marat, rue de l’École de Médecine, in cui, alla resa minuziosa degli edifici e della folla, si accompagna nel cielo l’imprevista apparizione di tre donne nude, sospese in aria e circondate da drappi che si attorcigliano; una di esse sorregge un libro aperto su cui si leggono le parole «fiat lux».

Nelle acqueforti, ciò che sorprende è proprio, come ha osservato Giovanni Macchia, la coesistenza di precisione e invenzione: «Meryon fondeva la più calma e decisa esattezza (non si parla di esattezza topografica e prospettica, della scorretta dimensione, nel Petit Pont, delle torri di Notre-Dame) con un segno di visionario, e ha fermato per sempre un quadro di città inquieta, in un’atmosfera complicata e malsana, su cui gravano minacce e presagi […]. Baudelaire gustava questi paesaggi in cui l’aria surreale e solenne sembrava evocata per qualsiasi simbologia» [31]. L’aggettivo «surreale» non viene certo usato a sproposito, dato che il caposcuola del surrealismo, André Breton, ammirava a sua volta le Eaux-fortes sur Paris: «L’Ottocento, che aveva cominciato ad esprimersi […] con l’opera figurativa di Victor Hugo e dei principali illustratori romantici, non tarderà a registrare una reazione vivace, e il trionfo del positivismo avrà come conseguenza di frenare ogni velleità di trasgredire al mondo delle apparenze. Soltanto l’irruzione del delirio nei quadri di Meryon riuscirà a far saltare la gabbia di quel realismo rigido, portato in lui a un grado di potenza maggiore che in chiunque altro, e ci restituirà – drammaticamente – il senso di quell’altra dimensione della quale non si voleva più sapere» [32].

I riferimenti di Baudelaire alle impalcature che circondano certi edifici monumentali raffigurati da Meryon, fanno sorgere alla memoria quel richiamo alla caducità e alla trasformazione del tessuto urbano di cui si parla in una delle sue più celebri poesie: «La vecchia Parigi non c’è più (la forma di una città / cambia più in fretta, ahimè! che il cuore d’un mortale); […] // Parigi cambia! ma niente nella mia malinconia / s’è mosso! Palazzi nuovi, impalcature, blocchi, / vecchi quartieri, tutto per me diviene allegoria, / e i miei cari ricordi pesano più di macigni» [33]. Analogamente, quando il poeta parla della visione di Parigi dall’alto proposta da Meryon in Le Stryge, occorre ricordare che, nei versi di un progettato epilogo per Les Fleurs du Mal, egli assumeva a sua volta tale prospettiva, immaginando di osservare il panorama dalla sommità di Montmartre: «Col cuore lieto, sono salito sulla montagna / da cui si può contemplare la città nella sua ampiezza, / ospedale, lupanare, purgatorio, inferno, bagno penale, // in cui ogni enormità fiorisce come un fiore. / Tu sai bene, o Satana, patrono della mia angoscia, / che non andavo là per spandere un vano pianto; // ma, come fa un vecchio vizioso di una vecchia amante, / volevo inebriarmi dell’enorme sgualdrina, / il cui fascino infernale mi ringiovanisce senza posa. // […] Ti amo, o capitale infame!» [34].

La compresenza di sentimenti contraddittori caratterizza, sia pure in maniere diverse, l’attitudine di Meryon e di Baudelaire verso Parigi. L’artista si compiace di riprodurre ogni dettaglio delle vedute cittadine che sceglie di raffigurare, ma da quelle immagini così nitide trapela un senso di minaccia incombente. Pensiamo ad esempio all’incisione La Morgue, in cui si può notare il macabro particolare di un annegato «ripescato nella Senna, accolto da una donna che si contorce dal dolore e da un gendarme, figure gesticolanti che si stagliano come silhouettes di teatro d’ombre su un parapetto di un biancore accecante» [35]. Da parte sua, Baudelaire fatica sempre molto a restare lontano da una città che pure, per certi aspetti, detesta: infatti non mancherà di rimpiangerla durante gli ultimi anni di vita trascorsi in Belgio. Si può dunque concludere dicendo che, agli occhi del poeta come a quelli dell’acquafortista, Parigi rappresenta senza dubbio un luogo nel contempo perturbante e fascinoso, una di quelle «vecchie capitali / in cui tutto, anche l’orrore, diventa incantesimo» [36].

 

NOTE:

[1] Il cognome viene a volte scritto con l’accento (Méryon), ma preferiamo mantenere la forma tradizionale non accentata.

[2] Per una visione d’assieme della produzione, anche giovanile, dell’artista si può consultare il catalogo Charles Meryon, officier de Marine, peintre-graveur, 1821-1868, a cura di Jean Ducros, Paris, Les presses artistiques, 1968.

[3] Lettera di Meryon al padre del 5 novembre 1846, ivi, scheda n. 366 (le pagine del volume non sono numerate).

[4] Il disegno, dal titolo Mort de Marion du Frêne (riferito all’assassinio, nel 1772, di un capitano francese da parte degli indigeni della Nuova Zelanda), è riprodotto ivi, scheda n. 800 e relativa immagine.

[5] C. Baudelaire, lettera a Charles Asselineau del 20 febbraio 1859, in Correspondance, Paris, Gallimard, 1973, vol. I, p. 551 (tr. it. in Il vulcano malato. Lettere 1832-1866, Roma, Fazi, 2007, p. 184; si avverte che i passi delle traduzioni italiane cui si rimanda vengono spesso citati con modifiche).

[6] C. Baudelaire, Salon de 1859, in Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 2024 (= Œ. C.), vol. I, p. 1005 (tr. it. Salon del 1859, in Opere, Milano, Mondadori, 1996, p. 1253).

[7] Ivi, pp. 1005-1006 (tr. it. p. 1253). Baudelaire, per ribadire l’affinità tra Meryon e Hugo, riporta alcuni versi da una poesia di quest’ultimo, À l’Arc de Triomphe, inclusa nella raccolta Les Voix intérieures, Bruxelles, E. Laurent, 1837.

[8] Cfr. lettera del 13 dicembre 1859, in Correspondance, cit., vol. I, pp. 627-629 (tr. it. in Il vulcano malato, cit., pp. 205-207).

[9] Lettera di V. Hugo a Baudelaire del 29 aprile 1860; il passo è riportato in Charles Meryon, officier de Marine, peintre-graveur, 1821-1868, cit., scheda n. 449.

[10] Questa frase, tratta dalla medesima missiva di Hugo, si legge in Claude Pichois – Jean Ziegler, Charles Baudelaire, Paris, Fayard, 1996; nuova edizione riveduta, ivi, 2005, p. 606.

[11] Richard Wagner et «Tannhäuser» à Paris (1861), in Œ. C., vol. II, p. 191 (tr. it. Richard Wagner e «Tannhäuser» a Parigi, in Opere, cit., p. 899).

[12] Salon de 1859, cit., p. 1006 (tr. it. p. 1254).

[13] Lettera ad A. Poulet-Malassis dell’8 gennaio 1860, in Correspondance, cit., vol. I, pp. 654-655 (tr. it. in Il vulcano malato, cit., p. 209).

[14] Ivi, p. 655 (tr. it. p. 209). L’incisione di cui si parla è Le Pont-au-Change. La versione con le aquile si può vedere in Antoine Compagnon, Baudelaire. L’irréductible, Paris, Flammarion, 2014; 2021 (illustrazione fuori testo n. 16), mentre quella col pallone aerostatico in Elisabeth T. Barbier, Le Paris de Meryon, Paris, Baudouin, 1978, p. 39; salvo diversa indicazione, tutte le acqueforti a cui faremo riferimento sono riprodotte in quest’ultimo libro.

[15] Lettera dell’8 gennaio 1860, cit., p. 655 (tr. it. p. 209). L’incisione Le Petit Pont è stata eseguita nel 1850, mentre il colpo di stato a cui si allude è quello del 2 dicembre 1851: Louis-Napoléon Bonaparte, il cui mandato presidenziale è in scadenza, decide di conservare il potere con la forza. Due anni dopo egli si autoproclamerà imperatore col nome di Napoleone III. Nel suo delirio, Meryon credeva che quest’uomo politico volesse perseguitarlo.

[16] Lettera dell’8 gennaio 1860, cit., p. 655 (tr. it. pp. 209-210). Cfr. Edgar Allan Poe, Gli omicidi della Rue Morgue (1841), in I racconti, tr. it. Torino, Einaudi, 1983, vol. II, pp. 327-372.

[17] Lettera dell’8 gennaio 1860, cit., p. 656 (tr. it. p. 210).

[18] Anche l’incisione di Bracquemond è in E. T. Barbier, op. cit., p. 13.

[19] Lettera di Meryon del 31 marzo 1860, citata in Nadar, Charles Baudelaire intime. Le Poète Vierge (edito postumo nel 1911), Neuchâtel, Ides et Calendes, 1994, pp. 87-89 (tr. it. Charles Baudelaire intimo. Il Poeta vergine, Milano, Mac Comunicazione, 2019, pp. 80-81).

[20] Lettera ad A. Poulet-Malassis del 16 febbraio 1860, in Correspondance, cit., vol. I, p. 670 (tr. it. in Il vulcano malato, cit., p. 216).

[21] Lettera alla madre (Caroline Dufaÿs) del 4 marzo 1860, ivi, vol. II, p. 4 (tr. it. in Il vulcano malato, cit., p. 228). Le quattro incisioni a cui il poeta fa riferimento sono: La Tour de l’Horloge, La Galerie Notre-Dame, Tourelle, rue de la Tixeranderie e Le Stryge. Quest’ultima è accompagnata da un distico dello stesso Meryon: «Insaziabile vampiro, l’eterna Lussuria / Sulla Grande Città agogna al proprio pasto» (in francese, luxure rima con pâture).

[22] Lettera ad A. Poulet-Malassis dell’11 marzo 1860, ivi, p. 8.

[23] Peintres et aqua-fortistes (1862), in Œ. C., vol. II, p. 372 (tr. it. Pittori e acquafortisti, in C. Baudelaire, Scritti sull’arte, Torino, Einaudi, 1981, p. 327). Alla pagina successiva del testo, il poeta accenna a un’incisione di grandi dimensioni realizzata da Meryon nel periodo 1856-57, augurandosi che ne vengano stampate più copie: si tratta di Vue de San Francisco (cfr. Charles Meryon, officier de Marine, peintre-graveur, 1821-1868, cit., scheda n. 764 e relativa immagine).

[24] Il tutto è ora raccolto nel volume W. Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato (1935-40), tr. it. Vicenza, Neri Pozza, 2012.

[25] Ivi, p. 701.

[26] Valérie Sueur-Hermel, «Tableaux parisiens» et «Eaux-fortes sur Paris». Correspondances entre la plume et la pointe, in AA. VV., Baudelaire. La modernité mélancolique, a cura di Jean-Marc Chatelain, Paris, Bibliothèque nationale de France, 2021, p. 121.

[27] C. Meryon, lettera al padre del 15 settembre 1851, in Charles Meryon, officier de Marine, peintre-graveur, 1821-1868, cit., scheda n. 711.

[28] W. Benjamin, op. cit., p. 702.

[29] Ivi, pp. 315 e 319.

[30] Ivi, p. 702.

[31] G. Macchia, Baudelaire critico, Firenze, Sansoni, 1939; nuova edizione ampliata Milano, Rizzoli, 1988, p. 139.

[32] A. Breton, L’Art magique, Paris, Club Français du Livre, 1957 (tr. it. L’arte magica, Milano, Adelphi, 1991, p. 70).

[33] Le Cygne, in Les Fleurs du Mal (1861), in Œ. C., vol. II, pp. 80-81 (tr. it. Il cigno, in I fiori del male, Milano, Rizzoli, 1980; 2001, p. 227).

[34] Épilogue (anteriore al 1861), in Œ. C., vol. II, pp. 135-136.

[35] V. Sueur-Hermel, op. cit., p. 124.

[36] Les Petites Vieilles, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 84 (tr. it. Le vecchine, in I fiori del male, cit., p. 233).

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