A PROPOSITO DI FRAMMENTO, OGNI SEGMENTO PUOI PROLUNGARE/ DISEGNA UNA LINEA, NON COLMA LA DISTANZA. Intervista al poeta e fotografo Claudio Salvi. A cura di Francesca Marica
Caro Claudio. Sono felice di ospitarti qui. Molto felice.
Apprezzo la tua versatilità, il tuo sfuggire a un’etichetta, a una definizione sola e onnicomprensiva. Apprezzo la tua estrema franchezza e onestà.Poeta, traduttore, fotografo, grafico e, in passato, anche artista visivo.
Sei stato a bottega dal pittore figurativo milanese Gioxe De Micheli, figura di intellettuale solida e interessantissima; a sua volta allievo di Giovanni Cappelli, Giuseppe Martinelli e Gianfilippo Usellini. Sei un poeta e un artista complesso e a tuttotondo. Quasi un’anomalia nel panorama poetico e artistico italiano attuale, dove la vera sfida sembra quella di esserci e di apparire, di far parlare di sé a prescindere e nonostante. Tu sei un poeta e un artista appartato, pochissime apparizioni pubbliche, pochissime letture, un uso dei social in chiave raramente promozionale (vivaddio!). Vuoi raccontarci qualcosa di te? Come ti sei avvicinato alla scrittura poetica? Come questa si è evoluta negli anni?
Ho studiato musica, pianoforte e composizione, non ho completato quegli studi. Gioxe mi ha fatto conoscere la pittura quando ero bambino, amico carissimo di famiglia, primo esercizio delle riproduzioni a pastelli assieme a mio fratello e un amico bambino anche lui, di una battaglia di S. Romano di Paolo Uccello e di Guernica di Picasso. Ho frequentato il suo studio. Anni dopo è venuta la fotografia – per diletto – però quello che è rimasto a lungo sotto altre cose è scrivere.
La poesia non mi è vicina. Confondo la parola poesia. È un genere letterario, in questi anni o da sempre, come romanzo, saggio, racconto. Oppure poesia è lʼimmateriale che sta in diverse cose, per alcuni il tramonto, una sinfonia di Bach o altro.
La poesia non ti è vicina, eppure poeta lo sei. album (Arcipelago Itaca, collana Lacustrine, 2016) è la tua prima opera in versi.
Dopo quella pubblicazione, che ha ottenuto una buona attenzione di pubblico e di critica, diversi tuoi lavori inediti sono stati ospitati su importanti magazine on line: Nazione Indiana, Vibrisse, GAMMM, Le parole e le cose, Imperfetta Ellisse, Poesia del Nostro Tempo, Il Cucchiaio nell’orecchio, Niederngasse. A partire dal 2020, hai poi inaugurato una serie di autopubblicazioni: piccoli libri di poesia, talvolta accompagnati da tue foto. Come mai questa scelta dell’autopubblicazione che in Italia fa sempre storcere il naso a molti? Come dobbiamo leggerla? Una sfiducia nei confronti del mondo editoriale attuale? Una presa di posizione etico/politica? Un’operazione di libertà espressiva e anche estetica? Una possibile esperienza di esoeditoria?
album è parte in versi (?), parte in prosa. Le pubblicazioni in rete stanno lì. Non so come verrà consultata la rete in futuro.
I libri che produco sono quello che dici, ma non eso-editoria, perché non si fanno editoria. Dopo album ho scritto un libro nuovo e lʼho mandato a venti editori, sono arrivate due risposte, non buone in ogni caso. Così ho scoperto che non è facile venire presi in considerazione quando si tratta di farsi pubblicare un libro. Perché è un libro di poesia, oppure no, non so dire.
Fare i libri è una scelta obbligata per me, sono brevi e si confondono nel caos. Questo è naturale, e nel mio caso necessario, seguendo una scrittura che mima le parole che uno ha in testa quando si sorveglia poco o per niente. La poesia non è così, quasi mai mimetica, è di spicco nelle intenzioni. Da bambini facevano salire su una sedia a recitare la poesia.
Tra i tuoi piccoli libri autoprodotti: risvegli, BRLN e, il recentissimo, combinatoria. Vuoi brevemente raccontarci qualcosa di questi tre libri? Esistono delle narrazioni comuni? Sono libri artigianali, stampati in pochissimi esemplari. Chi fosse interessato ad acquistarne una copia, dove e come può contattarti?
Dici bene, comuni, sì. risvegli è un diario di risvegli in un periodo di pochi mesi tra autunno e inverno di un anno che finiva. BRLN un diario scritto a Berlino qualche anno fa, cambiato per farlo stare in un libriccino. combinatoria è un diario di azioni simili tra loro in una progressione attraverso cui cambiano. Diario è una matrice comune. In più sono estratti da una massa di materiali incensibile che passa da una memoria di computer allʼaltra, a volte si perde.
Tra i libri inediti ancora in attesa di essere pubblicati, sequenze e un bestiario a quattro mani, con i disegni dell’artista svizzero Elia Gobbi. Vuoi parlarcene? Vorrei ci parlassi di sequenze in particolare. È un libro concluso già da qualche anno. Io l’ho letto e so che al suo interno contiene una sezione che omaggia e reinterpreta nun di Giuliano Mesa, l’ultima sua opera del 2001 rimasta incompiuta. Che tipo di operazione hai condotto avvicinandoti a Mesa?
sequenze è stato finalista all’ultima edizione del premio Lorenzo Montano e verrà pubblicato per le edizioni Anterem nei prossimi mesi. Volentieri parlo di nun. Non tutto nun, solo una parte. Mi colpiva la brevità. Ho messo nun accanto a un foglio elettronico vuoto, muovevo rapidamente nun in alto e in basso (un pdf), dove si fermava lì trovavo una parola, la prendevo e la combinavo con altre. Cʼerano parole fisse – mano, preme, parola – tra tutte. Dapprima è stata una combinazione, dopo è cambiato. Nella versione ultima in sequenze è tagliato delle parti di figura, per dire, parole che rappresentano, alcune restano però. Alla fine è tornato a essere un insieme di combinazioni. A me fa pensare a un calcolo di geometria.
Il bestiario è un libro minimo – il titolo è proprio bestiario minimo. L’ho scritto per una mostra pensata da Vera Portatadino, pittrice. Ne parlo in breve. In un piccolo museo di storia naturale a Comerio (Varese) ci sono animali imbalsamati, trofei, un orso polare, il lupo, il giaguaro, lʼalce, una schiera di animaletti bellissimi, gli uccelli ecc. Di queste cose abbiamo fatto una mostra, i testi prima forma stavano su un plinto.
Quindi è un bestiario di animali morti e in sospensione. Elia ha disegnato gli animali, poi ne abbiamo discusso, alla fine ha disegnato delle figure umane alle prese con lo scrivere, io trovo che sia unʼidea intelligentissima. Allora hai da una parte una piccola poesia sugli animali, da unʼaltra il disegno di uno che scrive.
In una mia vecchia nota critica su album, apparsa su Poesia del nostro Tempo nel 2018, mettevo in evidenza le connessioni esistenti tra il tuo modo di scrivere e l’esistenza di uno sguardo indiscutibilmente fotografico. Citando Walker Evans raccontavo dell’essere inconsciamente fotografi di alcuni scrittori, come James Joyce e Henry James. Nella tua esperienza artistica, la fotografia occupa una posizione sicuramente importante e centrale. Vuoi parlarcene? Dove possiamo osservare una galleria con i tuoi lavori fotografici?
Sì, non sono sicuro di quello che penso, però fotografia e scrittura forse sono la stessa cosa. O parti viste separatamente di uno stesso oggetto. La fotografia è più nuova rispetto alla scrittura, forse per questo è distinta. La prima fotografia fino a Atget (circa) è quello che rimane di un tentativo di registrazione intenzionale di quello che accade. Atget non voleva scattare altro che cartoline dei faubourg di Parigi che stavano scomparendo. Il colore ha cambiato le cose di fatto, non nella radice che è identica, credo.
I rapporti tra segno visivo e segno grafico. Citando e parafrasando Maurice Merleau Ponty, possiamo ipotizzare che i segni visivi/grafici siano lo spazio natio e la matrice di ogni altro spazio esistente? Il segno visivo precede il segno grafico e quindi la creazione di un linguaggio, di un’astratta possibilità del dire? Oppure è maggiormente corrispondente al vero il contrario? La dialettica parola/immagine in che modo si articola e organizza all’interno del tuo fare poesia ma anche fotografia? Quanto la tua precedente esperienza di pittore condiziona oggi, consciamente o meno, il tuo modo di scrivere?
La scrittura appartiene anche allʼimmaginario. Per esempio, uno segue una melodia come un disegno complicato, non del tutto lineare – penso ai gesti di un direttore dʼorchestra. I segni di un testo qualche volta aiutano in un andamento ritmico delle parole, come una notazione. Una linea grafica si può seguire con gli occhi, allo stesso modo che si può seguire con la mente una linea melodica.
Ci sono anche parole che ribadiscono direttamente un insieme di azioni e di forme che fanno un gesto, non sono tante. Esempio, i nomi delle dita, pollice – puntare, premere, pugno (è il dito che in pugno chiude o si fa chiudere). Anulare – articolare (è il dito difficile da articolare). Indice – indicare, in, incidere. Medio – mediare, meditare. Mignolo – minimo, angolo (questo è eccentrico rispetto agli altri).
La pittura dà definizioni più nette e una luce stabile. Fino a Monet – e anche dopo – la luce di un soggetto è stabilita una volta per sempre. Certi quadri di Courbet sono scuri, Courbet stendeva masse di colore scuro fino a ottenere luce per gradi, forse per bisogno a quel punto. Non valeva per Courbet il detto “dallʼoscurità non metto insieme chiarezza”.
I tuoi prossimi progetti. Domanda aperta, apertissima, parlacene.
Forse dei paesaggi e aspetto di finire il diario cominciato un anno fa.
Metto in ordine gli scritti perché si possono fare altri libri.
Tra pochi giorni, il 25 settembre, inaugura la mostra di Andrea Lucchesi, pittore e amico, in catalogo ci sono tre questionari scritti da me per l’occasione.
(N.d.R. Per informazioni sulla reperibilità e l’acquisto dei libri autoprodotti (risvegli; 12 traduzioni dallo Spleen di Parigi di Charles Baudelaire; BRLN; combinatoria), è possibile contattare l’autore all’indirizzo: salvicld@gmail.com)