Porta ancestrale e canto di ribellione: La mano bruciata di Jonny Costantino. Di Stefano Foglia
Non posso che usare molta circospezione e camminare in punta di piedi per scrivere alcune riflessioni su La mano bruciata. Scrittori, pittori, elezioni di Jonny Costantino. Scrivo queste poche righe col dubbio se scriverle davvero, dopo essere rimasto lungamente ad osservare quel fuoco che ardeva nei suoi scritti, nelle storie interconnesse contenute nel lavoro di Costantino, dietro ogni riga, nella scelta della singola parola utilizzata. Medito sulle sensazioni sobillate da quel fuoco, dopo averlo lasciato decantare, aspettando impazientemente che potesse calare di intensità, sembrare ridotto a brace, per potercisi avvicinare senza correre il rischio di essere scottati dalla sua potenza.
Nel riflettere con me stesso su quale scenario immaginifico possa rappresentare La mano bruciata non posso che partire a contrariis. Cosa non è La mano bruciata.
Non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è una raccolta di recensioni o di articoli che lo scrittore e regista ci sottopone rieditandoli con beneficio di integrazione.
La mano bruciata è una porta ancestrale.
Una porta che ci collega a dimensioni quadrimensionali, a multiversi fatti di interconnessioni lunocentriche, un insieme dinamico di universi scrittorii e pittorici in cui non valgono le regole della fisica di noi comuni mortali, una porta metafisica che vive di altre regole e di queste si nutre e con queste cresce.
Sono scritti che narrano di salite di corsa su scale che non restano immobili, ma che camminano insieme a noi in uno scenario che muta, sempre sobillato dal fuoco sacro.
Statici momenti di immobilismo che conducono ugualmente a esplorare il proprio io, facendoci mutare pelle.
È anche una chiave di violino la “mano bruciata” che ci illumina nell’oscurità della notte al suono ritmico delle sue note jazz.
È un canto di ribellione l’ultimo lavoro dell’artista e intellettuale calabro bolognese, ribellione dalla schiavitù dell’essere monolitici.
Note emesse sotto forma di parole che ci accompagnano in una armonica successione di ritmi e rumori inconsueti e difficilmente udibili, suoni di sperimentazione.
L’autore intreccia sapientemente i piani dello studioso, dell’appassionato e le sue storie personali in ogni frammento di questa esperienza che muovendo dall’improvvisazione, dalla cura di ogni singola nota, ci fornisce una nuova forma d’avanguardia, nuovi punti di vista, incisivi strumenti di riflessione.
Se dovessi individuare una metafora per sintetizzare il lavoro dell’autore (chiedo venia per la pochezza a Flaubert e a Costantino stesso) posso dire che La mano bruciata è una stele di metallo scuro, apparentemente glaciale, che cade giù dall’alto alla maniera di Kubrick e che rimane lì, nel silenzio delle sue note impercettibili date dal vento che le sbatte contro.
Gli esseri primordiali che, come me, la osservano con ansia e stupore non possono che emettere suoni gutturali alla vista dello scuro elemento.
Ma c’è qualcosa che attrae in quello oscuro e freddo metallo, che ci porta ad avvicinarci, a poggiarvi la mano per poterlo toccare, per conoscerlo in maniera essenziale. Ed è li che quell’apparentemente glaciale metallo compie la sua rivoluzione.
Quella stele nasconde in nuce il tizzone ancora ardente e ustionante del fuoco che Costantino ha voluto così trasmetterci in forma di frammenti estatici.
Temo proprio di essermi bruciato.