Maurice Scève, Délie. Oggetto d’altissima virtù, Joker 2023
VI
Libre vivois en l’Avril de mon age,
De cure exempt soubz celle adolescence,
Ou l’oeil, encor non expert de dommage,
Se veit surpris de la doulce présence,
Qui par sa haulte, & divine excellence
M’estonna l’Ame, & le sens tellement.
Que de ses yeulx l’archier tout bellement
Ma liberté luy à toute asservie:
Et des ce jour continuellement
En sa beaulté gist ma mort, & ma vie.
VI
Vivevo l’aprile della mia adolescenza
Libero e ignaro d’ogni male a quell’età
E il mio occhio inesperto d’ogni malanno
Sorpreso fu dalla tua dolce presenza
Che per il suo alto e divino magistero
Sbalordì l’Anima e la sensualità.
E coi suoi occhi l’arciere audacemente
A lui soltanto asservì la mia sorte
E da quel giorno ininterrottamente
Alla bellezza guidò mia vita e morte.
*
XXIII
Seule raison, de la Nature loy,
T’a de chascun l’affection acquise.
Car ta vertu de trop meilleur alloy,
Qu’Or monnoyé, ny aultre chose exquise,
Te veult du Ciel (ô tard) estre requise.
Tant approchante est des Dieux ta coustume.
Doncques en vain travailleroit ma plume
Pour t’entailler a perpétuité:
Mais ton sainct feu, qui a tout bien m’allume,
Resplendira a la postérité.
XXIII
Sola ragione, legge della natura,
Ti ha di ciascuno conquistato l’affetto,
Poiché tua virtù è di più superba lega
Dell’oro puro o d’altra cosa squisita,
Tu vuoi dal cielo – ma tardi – esser rapita.
Tanto agli dèi la tua condotta è similare.
Che quindi vano sarebbe il mio poetare
Per inciderti nell’eternità;
Ma il fuoco tuo che ad ogni bontà m’accende
Risplenderà nella posterità.
*
CCXXXII
Tout le repos, ô nuict, que tu me doibs,
Avec le temps mon penser le dévore:
Et l’Horologe est compter sur mes doigtz
Depuis le soir jusqu’à la blanche Aurore.
Et sans du jour m’appercevoir encore,
Je me pers tout en si doulce pensée,
Que du veiller l’Ame non offensée,
Ne souffre au corps sentir celle douleur
De vain espoir tousjours recompensée
Tant que ce Monde aura forme, & couleur.
CCXXXII
Tutto il riposo, o notte, che mi devi,
Col tempo il mio pensare lo divora:
E il mio Orologio è contare sulle dita
Dalla sera fino alla bianca Aurora,
E senza accorgermi del giorno ancora
Tutto mi sperdo in sì dolce pensiero
Che l’anima non stanca di vegliare
Rifiuta al corpo di patire quel dolore
Della vana speranza sempre ricompensata
Fino a che il Mondo avrà forma e colore.
[…] La poesia è necessaria, oggi, come oggetto di altissima virtù? Certo che no (questa definizione ci fa sorridere), ma è sempre necessaria come lo è l‘imprescindibile presenza di Chimera, il fantasma mitologico che sfugge a ogni definizione nelle sue infinite metamorfosi.
Possiamo dire che tutta la poesia, di ogni epoca, rincorre l’inafferrabile Chimera. Lo facevano i poeti provenzali e trovadorici, così come i poeti “pagani” latini e greci, quindi Petrarca con la sua Laura e prima di lui Dante che a Beatrice dedicò le tre Cantiche della sua Commedia e la vita intera. L’inafferrabilità del senso dell’esistenza umana domina sempre il centro della poesia e si lega all’ossessione implacabile del desiderio tout court. Adesso, nella poesia contemporanea non ci sono nomi di donne amate e omaggiate dai versi, tutti i veli sono caduti, il loro posto è occupato da un incommensurabile Vuoto che testimonia, appunto, l’assenza dell’oggetto, esplicitata dalla danza delle parole intorno ad esso. Chi scrive poesia riproduce sempre la figura del desiderante. La grande saggista Jacqueline Risset affema: “Si tratta,in ultima analisi, delle avventure di un pensiero che, attraverso le tappe e le vicende alterne di quel sentimento, cerca di avvicinarsi sempre più al nucleo di sé”.
Un poeta sceglie di tradurre il poeta che lo attrae in modo speciale, che risuona in qualche modo dentro di lui, e su di lui concentra l’attenzione. Quindi, oggi, propongo per “I libri dell’Arca” questa mia traduzione di Délie: assolutamente non completa (meno di un centinaio), e arbitrariamente mia, pur restando la più ampia che troviamo in Italia.
La persuasività e l’insistenza di Scève, la sua “altissima virtù”, è anche la sua altissima ossessione: quella del suo congegno linguistico: la concentrazione della sintassi, la densità del suono/senso, la musicalità e il ritmo, la drammaticità espressiva: un intreccio stregante di retorica e passione. Lotta e tenzone tra cuore e sensi, ma soprattutto ansia perenne verso il nostro mistero esistenziale, che sempre ci manca e ci mancherà. Délie è un testo variabile e contradditorio, come il nostro pensare e sentire. E in questa complessità, a volte oscura se guidata solo dai sensi, a volte apparentemente più limpida se è la Ragione a prevalere, noi troviamo quanto tutto questo non sia mai desueto: il sentimento amoroso nelle sue vibrazioni e alterazioni, nei suoi riflessi e contro riflessi. […]
Dall’introduzione
M. Scève, Délie. Oggetto d’altissima virtù, Joker 2023. Traduzione e cura di Lucetta Frisa.
Maurice Scève (Lione, 1501-1564) è il maggiore rappresentante della scuola poetica di Lione. Il suo capolavoro, celebre per la scrittura ellittica ed ermetica, è Délie. Objet de plus haute vertu: pubblicato anonimo nel 1544, con le sole iniziali dell’autore, si compone di 449 dizaines, divise per gruppi di 9 strofe da emblemi di soggetto mitologico o familiare (Dèlie, il nome della donna amata, è anche anagramma di L’Idée). Tra le altre sue opere si ricordano: Blasons (1550) e Microcosme (1562), poema filosofico in tre canti, di 3003 versi, sulla creazione dell’uomo.