Rodolfo Quadrelli
L’altra letteratura
Esistono ormai in Italia due letterature, ancorché la coscienza pubblica faccia di tutto per nascondere la spaccatura. Non diversamente da quanto accade in Russia, si può qui parlare di letteratura ufficiale da una parte e di letteratura seconda (o «altra letteratura») dall’altra: ciò è quasi la conferma che esiste anche un totalitarismo occidentale, il quale, se pure non perseguita poeti e scrittori, certamente li neutralizza. Esiste la letteratura che esprime, soprattutto nel romanzo, nell’inchiesta, nella storia, ciò che il pubblico edonista desidera sentirsi dire intorno alla demistificazione e alla liberazione dell’uomo: essa è in fondo, la nuova letteratura edificante e confermante, anche se si serve assai spesso del materiale di frodo dell’osceno e del proibito. Ma esiste anche una letteratura intesa a rivelare gli equivoci e le falsità del moderno (quelle che giornali e televisione diffondono senza più neppure coscienza di eresia o violazione) e insieme a proporre l’alternativa della modernità non moderna: essa è la letteratura seconda, quella che solo pochi sanno riconoscere come la vera.
E una letteratura che, non desti meraviglia, parla spesso attraverso i morti: come dire attraverso scrittori che da vivi non ottennero il consenso della coscienza pubblica. E i nomi di Lampedusa, di Morselli, di Satta ricorrono a testimoniare di un’esclusione e, a un tempo, ad esprimere un rimprovero. (…)
Lo studio della letteratura
Negli studi di letteratura, soprattutto accademici, non è raro imbattersi in espressioni che passano ormai inavvertite, tanto sono penetrate nel pensiero e nell’uso comune, ma che non perciò sono meno discutibili e refutabili.
Leggiamo spesso che questo o quel saggio critico, che questa o quella monografia, che questa o quella ricerca sono «obbligatori», «definitivi», «fondamentali», e che «riempiono una lacuna». Non sono, queste, espressioni incidentali; sono invece la conseguenza di un metodo, e il rifiuto di esse coinvolge il rifiuto di quel metodo. Tale metodo è, sia pure in senso non stretto, il metodo scientifico nello studio della letteratura.
Non è difficile capire che le origini di questo costume sono le origini stesse della critica letteraria moderna. Non è un fenomeno recente quello che noi trattiamo, se non per certi aspetti più facilmente riconoscibili; è, probabilmente, il destino stesso di una speculazione che molti considerano ancora una conquista.
Che cosa si ricava dalle espressioni poc’anzi citate? Si ricava, come avviene per le scienze della natura, che ogni studioso porta il proprio contributo a un lavoro collettivo, che egli non può non tener conto dei contributi precedenti, che tutta questa attività è un «progresso». Lo studio della letteratura appare come un mosaico nel quale ognuno inserisca la propria piccola tessera. Lo studio della letteratura appare dunque come esauribile, almeno potenzialmente o almeno per il momento, finché non accada qualcosa di determinante che obblighi a ricominciare da capo. È il metodo stesso che lo impone. Ma è immediatamente evidente una clamorosa contraddizione: è proprio la potenziale esauribilità dell’argomento letterario che invita a ricominciare da capo. Proprio nel momento della conquista o, almeno quando la conquista è vicina, si sente il bisogno di rinnegare tutto, a costo di rinunciare alle precedenti precarie certezze. Se lo studio della letteratura non è esauribile, vuol dire che non è scientifico, che non stabilisce o non accerta proprio niente, che i contributi non contribuiscono a niente, che il lavoro non è collettivo, che non è un progresso. E allora si sarebbe tentati di chiedere: perché la critica letteraria? […]
R. Quadrelli, Lo studio della letteratura europea. Un percorso da Dante a Solženicyn, Il Cerchio 2001. A cura di Andrea Sciffo.
Apprezzo tantissimo questa proposta, ne condivido gran parte dei contenuti; in ogni caso rileggere Quadrelli è una possibilità concreta di capire il nostro presente.