Roberto Mattei
Mi sono perso, dicono,
e con buona ragione,
i miei, la mia stanza,
quella dei fratelli e fratelli-cugini pure,
i materassi a terra per ospitare a frotte,
il laboratorio del cortile
che dava grezze vetture per discese perfette
e archi e frecce nere di gittate
ad ogni revisione più iperboliche,
sere di cantate che i vicini ancora imprecano,
la strada di rami e sassi,
e tutto il cammino dei miei piedi,
sempre con un mediterraneo sullo sfondo,
che a distrarsi lasciava file lunghe
di dieci-e-dieci su vari bagnasciuga,
le escursioni tra lucerte tutte uguali,
tele di ragni sempre diversi
e varietà infinite di volanti
che non dovrebbero per norma di natura
e invece vanno incuranti fuorilegge,
gli amici con cui dire del destino
mangiando pane burro e acciughe
di notte con l’acqua di costiera in vita,
col primo vero vino, la prima sigaretta,
le fughe temerarie per il giuramento che dava il verso,
la scoperta della maestrìa di cui ero fatto,
la nuova casa a ridosso del borgo,
anni d’attesa e nascite inattese
in cui muoio e risorgo,
giorni di pioggia sotto i portici e di sole sulle spiagge,
giorni veloci con loro ovunque,
lo stupore d’averli che non so scrivere,
il timore di vederli piangere,
di vederli correre ridendo
e pedalare senza rotelle al lato,
quel terribile peloso e geloso,
palloni nuovi flagellati a morte in poche ore dal brecciato,
musica per darci un poco di riposo,
musica per tenerli svegli che li addormentava uguale,
musica per Sapere quello che nessuno può insegnare,
dinosauri e cavalli, gorilla immensi e re,
un dito in un occhio e morsi dove fa male assai,
zànini di palette e di secchielli,
fiumi camminati in greto tra le rocce,
tuffi dal trampolino delle spalle,
la via di scuola su cui affannavo non immaginando
quanto la sua mancanza avrebbe affannato poi,
e sguardo amato che li custodisce dove ormai di me non tiene.
Si,
ho perduto molto, fin qui.
Ora, perso in te che Sai,
a ritmo via via più attìmico rinviene.
Testo inedito