Trasfusioni

Georges Perros, da Papiers Collés 1, traduzione di Mauro Leone

 

In occasione del centenario della nascita di Georges Perros (Parigi, 31/8/1923-24/1/1978) segnaliamo che l’anno prossimo uscirà per le Edizioni degli animali la prima traduzione italiana del primo volume dei Papiers Collés di Georges Perros, edito da Gallimard nel 1960. Di seguito una piccola selezione dalle oltre 400 note tradotte per il libro.


 

Non c’è cosa più divertente del destino riservato agli uomini che si ostinano a volersi nascondere, a fuggire gli altri. Né Valery, né Rimbaud, né Lawrence sarebbero riusciti a farsi conoscere così universalmente, così rapidamente, se l’avessero voluto. Giovani in cerca di grande gloria, imitateli. E se nessuno viene a cercarvi, non disperatevi di essere riusciti là dove il genio fallisce. Non aggiungerò altro.

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Il crimine, o l’incidente, danno un senso al passato; un senso che non aveva e non poteva avere. Non possiamo vivere senza attendere un evento che dia all’azione presente un senso globale che non è in grado di esprimere nell’immediato. L’ispirazione non è altro che questa illuminazione privilegiata di un luogo apparentemente privo di mistero. Detto altrimenti, vivere, è sperare di vivere, è attendere. Aspettarsi di vivere. Viviamo per vivere. Siamo costretti ad esserci, come schiavi, affinché un giorno forse si dichiari la presenza di un conquistatore. Vivere è infuriarsi, fare ripetutamente figli senza sapere se lo sperma è affluito nel posto giusto.

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L’impossibilità di amare senza voler essere amati toglie ogni grazia a questo sentimento.

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Mentre scrivo – alla mia maniera – un cane mi dorme accanto. Mi onora della sua presenza. Se si muove mi preoccupo. Se va ad annusare sotto la porta gliela apro immediatamente. Temo di annoiarlo non avendo niente da dirgli. (Con gli uomini succede il contrario). Non parliamo la stessa lingua e questo scambio ridotto al puro piacere, che è muto, rende i momenti di intesa incomparabilmente caldi. La stessa sensazione la provo con i bambini. Il timore – malsano – di annoiarli mi fa raccontare loro delle stupidaggini. Così li lascio, sollevato. Che siano gli altri ad annoiarli. In effetti ci stiamo dando ancora troppa importanza. Non è l’uomo che li annoia. Essi non vi prestano attenzione. È la loro impossibilità a fare collegamenti che li rende in ogni istante ciò che sono. Mentre la nostra meravigliosa intelligenza non smette di creare nodi – e a che velocità – essi si preoccupano molto poco della loro condizione, non contemplando il futuro, ancor meno l’eternità. Voglio dire, la morte. Mi piacerebbe poter parlare così alle donne, come faccio con questi bambini, con questo cane. Non parlare affatto. Si, lo preferirei.

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Assicurata l’eternità, si tratta di pensare al proprio avvenire. In generale e per fortuna, è troppo tardi.

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Il mio corpo è un occhio, il vero occhio. Di quelli che riempiono due dei buchi del mio viso non c’è molto da dire, tranne che sono disperatamente deludenti.

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Bisogna sempre scommettere sul proprio genio. Anche quando si è certi di non averne per gli altri. Ne abbiamo sempre uno per noi stessi.

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Dal momento che non siamo niente, chiediamo agli altri di trovare in noi qualcosa.

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Troviamo sempre delle giustificazioni alla nostra miseria, alla nostra angoscia. Di certo non mancano. È solo che ci traggono in inganno. Ci fanno credere che è a causa loro che soffriamo. Spesso è il fegato che non va. I miseri credono che dipenda dalla politica. Di conseguenza vanno a votare. Per mantenere i politici. L’uomo solo, privo di pregiudizi sociali, va ben oltre. Diventa crudele per piacere, per far crollare, crede, una ad una, le ragioni reali. Invece di guardare avanti, cammina all’indietro, pistola alla mano, per uccidere ciò che è già morto, ma che egli resuscita continuando a pensarci, invocandolo nuovamente.

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L’onestà consisterebbe nel non pensare mai al posto di. Ciò restringe il nostro campo. Ma ci dà un’illusione di gravità, cosa di cui abbiamo grande bisogno.

 

 

Rien de plus divertissant que le sort réservé aux hommes acharnés à vouloir se cacher, fuir autrui. Ni Valéry, ni Rimbaud, ni Lawrence n’auraient réussi à se faire connaître aussi universellement, aussi vite, s’ils l’avaient voulu. Jeunes gens en quête de grande gloire, imitez-les. Et si l’on ne vient pas vous chercher, ne pleurez pas d’avoir réussi là où le génie échoue. Je ne dirai pas un mot de plus.

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Le meurtre, ou l’accident, donnent un sens au passé; un sens qu’il n’avait et ne pouvait avoir. On ne peut pas vivre si l’on n’attend pas un événement qui va donner au geste présent une signification totale qu’il est incapable de rendre sur le moment. L’inspiration n’est pas autre chose que cet éclairage privilégié d’un lieu apparemment sans mystère. Autrement dit, vivre, c’est espérer vivre, c’est attendre. S’attendre à vivre. On vit pour vivre. On est forcé d’être là, comme un esclave, pour qu’un jour peut-être se déclare la présence d’un conquérant. Vivre, c’est rager, c’est faire sans cesse des enfants sans savoir si le sperme a porté au bon endroit.

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L’impossibilité d’aimer sans avoir envie d’être aimé soi-même retire tout grâce à ce sentiment.

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Pendant que je travaille – à ma façon – un chien dort à mes côtés. Il m’honore de sa présence. S’il bouge je m’inquiète. S’il va flairer sous la porte, je lui ouvre aussitȏt. j’ai peur de l’ennuyer n’ayant rien à lui dire. (Avec les hommes c’est le contraire.) Nous ne parlons pas la même langue et cet échange réduit au plaisir même, qui est muet, rend les moments d’entente incomparablement chauds. J’éprouve la même sensation avec les enfants. La crainte – malsaine – de les ennuyer me fait raconter n’importe quoi. Et je les quitte soulagé. À d’autres de les ennuyer. En fait, c’est encore trop d’honneur qu’on s’accorde. Ce n’est pas l’homme qui les ennuie. Ils n’y font pas attention. C’est leur impossibilité de raccord qui les rend à tout instant ce qu’ils sont. Alors que notre merveilleuse intelligence ne cesse de faire des nœuds – à quelle vitesse – eux se soucient fort peu de leur état, ne prévoyant pas l’avenir, encore moins l’éternité. Je veux dire, la mort. Aux femmes j’aimerais parler comme à ces enfants, comme à ce chien. Ne pas parler. Oui, j’aimerais.

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L’éternité assurée, il s’agit de penser à son avenir. En général et par bonheur, il est trop tard.

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Mon corps est un œil, l’œil véritable. De ceux qui bouchent deux des trous de mon visage, pas grand-chose à dire sinon qu’ils sont désespérément décevants.

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Il faut toujours parier pour son génie. Même si l’on est certain de n’en avoir aucun pour les autres. On en a toujours pour soi.

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Tant qu’on n’est rien, on demande aux autres de nous trouver quelque chose.

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On trouve toujours des raisons à notre misère, à notre détresse. Certes, elles ne manquent pas. Mais elles nous abusent. Nous font croire que c’est à cause d’elles qu’on souffre. Souvent, c’est le foie qui ne va pas. Les misérables pensent que c’est la politique. Ce faisant, ils votent. Pour nourrir les politiciens. L’homme seul et sans préjugés sociaux va bien au-delà. Il se rend cruel par plaisir, pour abattre, croit-il, une à une, les vraies raisons. Au lieu de regarder en avant, il marche à reculons revolver au poing, pour tuer ce qui est déjà mort, mais qu’il ressuscite en y pensant, en le sollicitant à nouveau.

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L’honnêteté, ce serait de ne jamais penser à la place. Voilà qui limite notre champ. Mais nous donne une illusion de pesanteur, ce dont nous avons grand besoin.

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