Esperienze

L’Apocalisse e altre suggestioni nell’opera di Scipione

 

[…] L’ «Apocalisse di S. Giovanni» sta al centro di tutto il lavoro di Scipione. Scipione legge, rilegge, medita e interroga l’Apocalisse, va alla ricerca del significato e del valore dei simboli e dei segni, allarga le sue conoscenze della letteratura cristiana antica, soprattutto visualizza l’Apocalisse (nel significato letterale della parola: «rivelazione»), e per farlo si affida all’immaginazione, lascia correre la fantasia. Lettere, sigilli e trombe sono i mezzi per riscattarlo dalla situazione in cui si dibatte, per sfuggire alla catastrofe, alle elucubrazioni sulla morte. […]

[…] L’Apocalisse non è tutta gravida di distruzione e di morte. Scipione vi vede «un messaggio di amore e di conforto che precede e accompagna la storia dell’umanità». Infatti, concentra la sua attenzione sul carattere profetico del libro, sulla previsione e predizione del futuro. Cerca le manifestazioni della volontà divina, i segni che interpreta per sé sperando di trarne consigli e ammonimenti. Tutto si fa profezia: visioni, fatti simbolici, allegorie, parabole, enigmi; i quattro cavalieri, il settimo sigillo, i centoquarantaquattromila segnati, la donna vestita di sole, la grande meretrice, il dragone, la nuova Gerusalemme. Tutto riguarda il futuro, approfondisce il mistero, interpreta la volontà divina di punirlo o salvarlo, di liberarlo dall’oppressione dopo averlo purificato attraverso la prova. La prova è il disegno, che Scipione pratica per rincuorare se stesso, per illuminare e spiegare i simboli, come proclama di fede e testimonianza. Un concetto de IV Vangelo fa dire a Gesù: «Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna: ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza». […]

La cortigiana romana, 1930

[…] Scipione collega all’Apocalisse altri libri, primo fra tutti I canti di Maldoror, perché è comune l’immagine di fondo che essi evocano. Naturalmente, è proprio quando ci rendiamo conto dei riferimenti, quasi il disegno fosse un’illustrazione dell’Apocalisse e di Maldoror, delle poesie di Ungaretti e di Baudelaire, delle prose di Barilli e di Cardarelli, che si manifesta balenante la singolarità della sua opera, l’efficacia propria della sua immaginazione, l’irripetibile esercizio della sua intuizione. […]

[…] Scipione ritrova in Ducasse la coscienza della diversità. Riappare la figura bruciante dell’ermafrodito, la diversità inaccettabile, l’«universo carcerario» ravvisato da Bataille come libertà della fantasia e dello spirito. Solo che in Scipione sfugge al cerebralismo perché la sensualità «frenetica» vince sullo spazio metafisico ed estetico. Aspira, però, a scoprire «il luogo sotterraneo dove giace la verità addormentata», medesima è la rabbia di non veder rivelato «il segreto del nostro cencioso destino». […]

Piazza Navona, 1930

[…]  Prima di Francis Bacon Scipione ha messo la figura umana al centro dei suoi problemi. L’uomo e il suo pessimismo esistenziale, l’uomo nudo, i muscoli abbandonati, senza forze, sorpreso in un vago movimento di avvicinamento che lo rende indifeso, con la bocca spasmodica, gli occhi impenetrabili e fissi. Compie, così, una serie di esplorazioni che attraversano i labirinti dell’inconscio. La rappresentazione della vita, anche la vita comune, è espressa con un eccesso di partecipazione, come se i suoi sguardi approdassero da un mondo enigmatico abitato da piacere e paura. […]

[…] Fantastico e grottesco, magico e meraviglioso, come costanti del suo lavoro, Scipione guarda deformazioni e depravazioni, discordanze e assonanze di stili con impareggiabile costanza. L’ibridismo non lo sconcerta. Il disegno viaggia arbitrario attraverso storie e vicende organizzando il disordine, calcolando con sapienza le varietà. Ciò spiega anche gli accostamenti utopici di profili umani e profili bestiali, i collegamenti con le credenze primitive dell’umanità stabilite dalla fantasia e dal sentimento. Ogni àncora statica alla tradizione lo rende insoddisfatto e perciò apre il suo lavoro direttamente sulla natura. La luce intellettuale lo esalta, la natura lo suggestiona: entrambe sono fonte ed espressione della sua ansia mitica che, se da una parte rende il disegno proiezione di un incubo (figure semispettrali in una realtà senza rilievo, già pronte ad assumere la chiusa densità dell’ombra, proprie di chi vive in anticipo l’idea della morte), dall’altra, sollecitato dalla malattia che spinge alla contemplazione, lo esilia da se stesso. […]

Testi tratti da Giuseppe Appella, Scipione. 306 disegni, Edizioni della Cometa 1984.

In copertina: Scipione, Apocalisse (Il sesto sugello),1930

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