Friedrich Hölderlin, La veduta, a cura di Antonio Devicienti
LA VEDUTA
Quando la vita abitante degli umani si avvia nella lontananza,
là dove s’illumina lontanando il tempo delle vigne,
le è contemporaneo anche il campo vuoto dell’estate,
il bosco si profila con la sua oscura figura;
che la natura completa l’immagine dei tempi,
ch’essa dura, quelli scivolano via veloci,
è cosa che accade per perfezione, l’altezza del cielo sfolgora
allora sull’essere umano, come la fioritura incorona gli alberi.
Con umiltà
Scardanelli
24 maggio 1748
DIE AUSSICHT
Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,
Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,
Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,
Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde;
Daß die Natur ergänzt das Bild der Zeiten,
Daß die verweilt, sie schnell vorübergleiten,
Ist aus Vollkommenheit, des Himmels Höhe glänzet
Dem Menschen dann, wie Bäume Blüht’ umkränzet.
Mit Untertänigkeit
Scardanelli
d. 24 Mai 1748
RAGIONI DI UNA TRADUZIONE
«Nei primi giorni di giugno [scil. dell’anno 1843] Hölderlin scrive quella che si ritiene sia la sua ultima poesia» Giorgio Agamben, La follia di Hölderlin. Cronaca di una vita abitante 1806-1843 (Giulio Einaudi Editore, Torino 2021, p. 198) – e rimando all’intero libro (illuminante) di Agamben sugli anni della “follia” del poeta svevo “rinchiuso” nella torre aTubinga, libro che, facendo finalmente piazza pulita dei cascami e degli equivoci psicologizzanti e psichiatrici affastellati intorno alle vicende di quei 37 anni, aiuta a riconsiderare anche i testi in versi composti in quello stesso periodo di tempo.
La veduta può essere, allora, sì quella dalla torre appartenuta al falegname Zimmer, ma anche sguardo posato sul destino umano che appunto è vita abitante, vale a dire vita che sta nel mondo subendone le affezioni, che non è padrona del mondo e che accetta i propri limiti, le proprie mediocrità e fallimenti.
La bellezza si dispiega così in un canto sommesso che, all’apparenza, ripete sé stesso (sono numerosi i testi composti negli ultimi decenni di vita del poeta dedicati alle stagioni, stilisticamente e contenutisticamente molto diversi da quelli della fase precedente), ma è canto affine alla vita abitante che ripete sé stessa nelle proprie abitudini quotidiane.
Accade così che la “Ferne” (la lontananza – vocabolo e concetto tra i decisivi del Romanticismo tedesco) sia la distanza tra il poeta che osserva dalla finestra della sua stanza o dal giardino ai piedi della torre e gli alberi, i campi, le vigne intorno a Tubinga, ma anche il luogo-tempo verso cui s’incammina il vivere e che l’autunno, stagione della vendemmia, serbi in sé e rechi con sé l’estate, la stagione necessaria a che si avviino a maturazione i frutti che danno il colore all’autunno.
Perfezione (“Vollkommenheit”, etimologicamente il “giungere alla propria pienezza”) non è, dunque, attuazione di una vita eroica o eccezionale, ma il cerchio delle vite abitanti che si aprono e si chiudono, che hanno consapevolezza del cielo inarcato su di loro e della sua incolmabile distanza – e gli esseri umani sono alberi incoronati dalla fioritura, vale a dire vite terrestri appartenenti alla terra e ai suoi cicli, al coesistere di esistenze transeunti e di realtà di gran lunga più durature.
Poetare intorno alle stagioni e alla natura non fu, nei decenni della “reclusione”, lo spegnersi dell’empito poetico che aveva infiammato gli anni precedenti, ma il riconoscimento e l’accettazione, anche nella scrittura, della propria vita abitante e scegliere di firmarsi “Scardanelli” (uno tra gli pseudonimi adottati da Hölderlin) fu il modo per affermare la definitiva distanza da colui che aveva composto l’Iperione e gli Inni, non il segno ulteriore di una supposta pazzia.
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