Fascinazioni

Jean Cocteau

 

Del dolore

Sarebbe logico sopportare meglio i dolori quando si è giovani, poiché si ha davanti il tempo e la speranza di liberarsene. Invece i dolori della mia giovinezza mi davano più impazienza di quanta ne provi oggi. Eppure dovrei dirmi che non ho più molto margine e che se questi dolori si prolungano c’è il rischio che non me ne sbarazzi più. Constato che la mia età è meno stupida di quella della mia giovinezza e che non è per rassegnazione o stanchezza che sopporto meglio i miei mali, ma per equilibrio. Può anche darsi che mi dica, non avendo più molto tempo da perdere, che bisogna superare il male e intraprendere i lavori di cui cerca di defraudarmi. Può darsi ancora che la degradazione fisica, non avendo io più altro impiego della mia persona che quello dell’anima, mi colpisca meno. Sia come sia, io soffro da sei mesi ogni minuto, vedo il male prendere tutte le forme, eludere la medicina e resto vivace e coraggioso. Scrivere queste righe mi dà sollievo. Mi succede perfino che se mi lascio andare ai ricordi, benché questo libro mi consigli di metterci un freno, dimentichi completamente il mio male e creda di vivere, non nella camera in cui lavoro, ma nel luogo e nell’epoca che descrivo.
C’è da chiedersi, poiché il lavoro ci lavora dentro e noi ne siamo davvero irresponsabili, se non sia proprio un riflesso difensivo contro il male che mi forza a scrivere questo libro. […]


J. Cocteau, La difficoltà di essere, Mondadori 2005. Traduzione di Elena Baggi Regard.

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