Libri

Thierry Metz, Diario di un manovale, Edizioni degli animali 2020

 

I miei primi gesti qui: scavare la terra. Aprire una fossa. E sparire. È la quotidianità del manovale: finché non ha trovato l’arcobaleno del suo libro, deve scavare. Chiudersi con i suoi semi.
Altrimenti come meditare la morte e l’albero?
Poco importa che il suo lavoro sia ripugnante; L’erosione del dolmen è più incisiva degli sfavillii dell’istante. E qui i due si congiungono.
Il manovale, il muratore: progetto biforcato. Come le nostre mani.

*

Si passa da una cosa all’altra. Molto rapidamente. Non c’è modo di fermarsi un attimo per indicare la nuvola. E più lontano; le violenze. Nessuno qui potrebbe parlare del fuoco. Tutto resta tra noi. Non detto.
Non siamo chiamati a niente perché mancano le parole.

Soltanto gli attrezzi…
È tutto.

Scrivi adesso il tuo poema.

*

Finiremo in tempo.
Ecco.
È tutto quello che si può dire.
Qui.

   

«Questo piccolo e immenso libro di Metz racconta le giornate di un muratore, di qualcuno che, insieme con altri, lavora per costruire – e lo fa in una maniera concretissima, che ti fa sentire il peso e la fatica, l’odore dei calcinacci e della malta: circola nell’inchiostro una sorta di acido lattico che risveglia il dolore e che può essere annullato solo dalla ripetizione del gesto, apparentemente sempre uguale». Due rive ci vogliono, occorre un poeta per tradurne un altro. Questo Diario di un manovale di Thierry Metz, nella attenta traduzione di Andrea Ponso, ci porta al cuore stesso della poesia di Metz, nel suo laboratorio, che è un cantiere e una casa in divenire, un nido per le rondini.
Questo Diario è un’opera cardine, così tersa, leggera, nel suo elevarsi dalla fatica. Come per cercare un sentiero, che abbandonando il dolore, l’agire incessante, il peso del giorno, possa trovare un cammino che è apertura verso l’alto, urgenza di esistere, sprofondare nel canto delle radici.
La poesia di Thierry Metz, nell’apparente annotazione di quello che resta, approda a un territorio, dove le parole che descrivono i gesti vissuti sono le sole che possano esprimerli. Come se quei gesti senza parole non esistessero. Come se il giorno per esistere avesse bisogno di quelle poche righe vergate la sera su un quadernetto.

Dalla quarta di copertina

T. Metz, Diario di un manovale, Edizioni degli animali 2020. A cura di Andrea Ponso.

Titolo originale: Le journal d’un manœuvre, Éditions Gallimard 1990.

Thierry Metz (Parigi 1956 – Cadillac, Bordeaux 1997) nella vita manovale e muratore sterratore, abitato dalla fatica e dalla grazia, è un poeta vero, la voce più forte, originale (secondo etimologia), alta della sua generazione. Lontano dai circoli dei letterati, come lo era Rimbaud. Animato da una lingua potente e semplice, come l’acqua di un ruscello di montagna. Ci ha lasciato una manciata di poesie sparse tra diversi libri, che ci appaiono oggi come tappe o segnavia di un’unica, interrotta, opera. Ne ricordiamo alcuni: Le journal d’un manœuvre (1990); Entre l’eau et la feuille (1991); Lettres à la bien-aimée (1995); Terre (1997); Sur un poème de Paul Celan (1999); recentemente sono state raccolte in un volume le sue poesie comparse su riviste, Poésies 1978-1997 (2017).
Dopo la traduzione de L’uomo che pende, per molti anni in Italia è calato un silenzio sull’opera di Thierry Metz. Le edizioni degli animali hanno in parte colmato questo vuoto, traducendo Sulla tavola inventata (2018) e Il Diario di un manovale (2020).

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