Lingua viva

Alberto Manguel

“… Una volta domandarono ad Alfred Döblin, uno dei maggiori romanzieri del ventesimo secolo, perché scrivesse, e lui rispose che rifiutava di chiederselo. «Il libro finito non mi interessa», diceva, soltanto il libro che si sta scrivendo, «il libro che verrà». Scrivere per Döblin significava setacciare il presente per orientarlo verso il futuro: era un flusso costante di lingua che permetteva alle parole di plasmare e nominare una realtà in continua evoluzione. […] La lingua, per Döblin è una cosa viva che non «racconta di nuovo» il nostro passato, ma lo «rappresenta»: «Costringe la realtà a manifestarsi, scava nei suoi abissi e porta alla luce le questioni fondamentali, grandi e piccole, della condizione umana». Ci fa capire, di fatto, perché stiamo insieme. Quasi tutte le nostre funzioni vitali sono al singolare: non abbiamo bisogno degli altri per respirare, camminare, mangiare o dormire. Ma abbiamo bisogno degli altri per parlare e per avere un riscontro di quanto diciamo. La lingua, sosteneva Döblin, è una forma di amore per gli altri. […] I creatori danno vita alle cose, facendone emergere l’intrinseca identità. Immobili in un angolo del loro studio, eppure travolti dalla corrente del resto dell’umanità, gli artisti ci restituiscono il mondo nelle sue costanti fratture e nei suoi cambiamenti, e rispecchiano in se stessi le mutevoli forme della nostra società, trasformandosi in quello che il poeta nicaraguense Rubén Darío chiamava «parafulmini celesti», senza smettere mai di chiedersi «Chi siamo?», e offrendo una parvenza di risposta usando gli stessi termini della domanda. Ecco perché l’artista diventa una figura di disturbo in una società che cerca, a tutti i costi, stabilità ed efficienza per raggiungere il massimo beneficio economico possibile…”


A. Manguel, La città delle parole, Archinto 2016.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *