Fascinazioni

Bernard Noël

1976

L’invisibile è dietro i nostri occhi, è lo spessore del corpo. Noi siamo quindi delle macchine oscure: per così dire, il buio di una camera oscura. Per quanto si parli del corpo, il corpo in queste condizioni è soltanto un’eventualità: occorre guardare dietro lo sguardo per dar vita al capovolgimento che, forse, lo farà accadere.

Il tratto è per il visibile quanto l’atomo è per il mondo. Il nostro rapporto con la realtà passa attraverso il tratto, in quanto noi la conosciamo solo sul punto di essere scritta dai  nostri occhi. Il tratto è a doppia faccia: è la nostra follia nell’andare incontro alle cose, e il folle ritegno che c’impedisce di raggiungerle, celandole col desiderio stesso che abbiamo di esse. Il disegno è questo tocco impossibile, che evoca l’impronta della cosa proprio là dove dovrebbe raggiungerla – incontrarla.

Ogni immagine deve la sua forza al fatto di denunciare in quel che è ciò che vorrebbe non essere: la copertura di un movimento di scoperta. La nascita è prossima alla morte: basta superare il tratto che le separa per vedere la loro unità – così come nel bianco e nel nero del disegno, in cui l’uno non può prescindere dall’esistenza dell’altro.

Vedere è un atto, scrive Paul Nougé, il quale precisa: l’occhio vede come la mano afferra. Questa affermazione rafforza i nostri due principali criteri di realtà: vedere e prendere, o toccare. Ma se l’occhio s’impadronisce della realtà, che fa di essa? Nessuno dubita del fatto che la realtà sia visibile, ma è vero il contrario?

Questa tela rappresenta un primo piano di una scarpa. L’occhio si dispera per il fatto di essere assolutamente costretto a passare per la cosa, pur non potendo limitarsi ad essa. Non c’è dubbio, è proprio una scarpa, e che non può essere altro che una scarpa, ma questa certezza non dà la minima garanzia. All’imbarazzo del questo-non-somiglia-a-nulla, col quale ci si confortava quando non si capiva, la nuova pittura sostituisce quello del questo-rassomiglia-troppo, che mette ancor più a disagio, in quanto questa somiglianza è al tempo stesso irrecusabile ed inutile. 
Una scarpa, che è scarpa a tal punto non è più tale: la somiglianza determina un eccesso, che mette in fuga il realismo.
L’oggetto si isola imponendoci la sua banalità, che non dice nulla e ci costringe ad affrontare l’opacità. D’un tratto, non c’è più al di là, né una scappatoia: l’estremo è lì, e c’è solo la banalità delle cose e di noi stessi, l’onnipresente superficie.
Il silenzio della superficie corrisponde a quello delle cose, le quali si accontentano della loro evidenza.

La fissità dell’immagine è uno stato transitorio tra il piacere di comporla e il piacere di guardarla. Questa fissità, che è il fondamento dell’immagine dipinta, è anche ciò che l’immagine nasconde grazie all’animazione del suo soggetto, della sua forma, dei suoi colori, ma la fissità è in sé l’immagine nell’immagine: quella dell’arresto del tempo della morte. Questa immagine è il segreto di tutte le immagini: da lì essa incombe su di noi, senza potervisi definire. La rappresentazione cela la cosa la quale non è né presentabile, né rappresentabile, e che agisce in essa come una trappola a doppio scatto: il pensiero ne è catturato, il pensiero se ne libera. Il pensiero muore nel prodotto in cui si definisce; il pensiero si rianima nel prodotto del pensiero, perché ogni prodotto mette in relazione il piacere di farlo e il piacere di utilizzarlo…

Il mondo manifatturato tende alla perfezione attraverso la volontà di ridurci all’unico senso. Poco a poco, tutto vi diventa meccanico, in quanto il consumo allontana lentamente la comunicazione. Conseguenza: il commercio degli oggetti finisce per noi col sostituire la comunicazione, perché essi circolano come segni: dei segni indecifrabili il cui significato si ripiega inutilmente su se stesso e gira a vuoto simulando di dire qualcosa. In questo mondo in cui tutto si mostra, vi è sempre meno da vedere, in quanto tutto dipende da uno sguardo che calcola piuttosto che da uno sguardo che guarda…

L’informazione di mass-media è un’illusione che vuole apparire reale, la quale, in un successivo movimento, irrealizza la realtà.

Noi non possiamo aprire gli occhi senza stabilire una relazione nel corso della quale il visibile è già ridotto alla sua espressione. Certo, vediamo il muro, il tavolo, la finestra, ma cosa sono? Sono reali o visuali? Lo sguardo è una burla, che fa di noi uno degli angoli del mondo. Tutto ciò che è visibile è lì, nella scatola; quanto all’invisibile, è la schiena dell’orizzonte e tutto ciò che ci sta alle spalle.

Il visibile somiglia a ciò che è, ma nessuno si sente frustrato da questa somiglianza, salvo quando si chieda: cos’è la realtà?

Le immagini rappresentano lo sguardo e non la realtà.

La vista non è una constatazione, ma una lettura. Noi leggiamo il visibile pur credendo di guardare la realtà.

Non c’è sguardo senza spazio per lo sguardo. Tentare di cogliere questo volume conduce alla scoperta di un legame che collega lo spazio dal quale parte la vista a quello che essa percorre.

La realtà non risiede nel visibile, essa è sotto, come la tela è sotto la pittura.

Lo sguardo attraversa il vetro senza vederlo. se prendete coscienza del vetro e del fatto che, nello sguardo, esso frapponga uno spessore, scoprite anche lo spessore trasparente che ingloba lo sguardo e lo costituisce.

Il visibile somiglia al reale. Il funzionamento di questa somiglianza è lo stesso del pensiero.

L’occhio risiede all’estremità del visibile, ma questa è nello stesso posto dell’estremità dell’invisibile.

Oggi, la maggior parte delle opere visive cercano soltanto di far colpo su di voi. Esse coltivano l’effetto retinico piuttosto che l’effetto mentale. Esse danno da vedere invece di far vedere. Esse non sono uno sguardo nello sguardo, ma una decorazione, un’idea. E niente si esaurisce più in fretta di un’idea, poiché pietrificata nell’opera, essa non rivela altro se non la sua banalità.

L’invisibile comincia nell’occhio. Esso contiene il simmetrico dello spazio esterno, ovvero il nostro spazio interiore. Lo sguardo fa il traghettatore dall’uno all’altro. Ma cosa c’è all’interno che non somigli all’esterno? Certo, l’interno accelera le combinazioni, gli scambi: isola, ma nella continuità. Il visibile, capovolgendosi nei nostri occhi, diventa l’invisibile che alimenta la nostra mentalità. Il senso d’interiorità non è forse il puro trasporto, dietro l’occhio, del volume dello sguardo?


B. Noël, Diario dello sguardo, Angelo Guerini e Associati 1992. A cura di Fabio Scotto.

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