e.e. cummings, al tempo dei narcisi(che conoscono, a cura di Lorenzo Mari
al tempo dei narcisi(che conoscono
lo scopo della vita è nella crescita)
dimenticando perché,ricorda come
al tempo dei lillà che danno annuncio
l’obiettivo della veglia è nel sogno
ricorda così(dimenticando sembra)
al tempo delle rose(che sorprendono
il nostro hic et nunc con il paradiso)
dimenticando se,ricorda sì
al tempo di tutte le cose dolci
oltre quel che la mente può comprendere
ricorda cerca(dimenticando trova)
e nel mistero che ancora dev’essere
(quando il tempo dal tempo ci farà liberi)
dimenticando me,ricorda me
*
in time of daffodils(who know
the goal of living is to grow)
forgetting why,remember how
in time of lilacs who proclaim
the aim of waking is to dream,
remember so(forgetting seem)
in time of roses(who amaze
our now and here with paradise)
forgetting if,remember yes
in time of all sweet things beyond
whatever mind may comprehend,
remember seek(forgetting find)
and in a mystery to be
(when time from time shall set us free)
forgetting me,remember me
Devo il mio personale ritorno a “In time of daffodils(who know” di e.e. cummings – una delle sue poesie più note, inclusa nell’ultima raccolta pubblicata in vita dal poeta statunitense, “95 Poems” (1958) – a un lavoro in fieri, in collaborazione con il musicista Marco Colonna, il poeta e traduttore Alberto Masala e altri compagni di viaggio.
Apparentemente, “In time of daffodils(who know” è una poesia che sfida la traduzione fino quasi al rischio dello scacco, fino, cioè, al rischio di affacciarsi sulla soglia dell’intraducibilità a causa, tra i molti elementi, delle peculiari concatenazioni fonosimboliche e del ritmo serrato del testo. Per chi si accinge a tradurre questa poesia, infatti, un aspetto determinante come l’alternanza di “forgetting” e “remember” può risultare assai perturbante – ancora di più, forse, dell’uso delle parentesi da parte di e.e. cummings. Queste ultime, infatti, per quanto devianti dalla convenzione tipografica, sono molto spesso conchiuse sia dal punto di vista grafico che da quello sintattico – anche perché soltanto la morte, per e.e. cummings, può essere una parentesi indefinita… o non essere affatto una parentesi, come si legge in “since feeling is first”, nei “Complete Poems”: “And death i think is no parenthesis”…
Allo stesso tempo, però scopro che proprio a proposito della traduzione di e.e. cummings in castigliano, Octavio Paz ha scritto, in “Traducción: literatura y literalidad” (1971): “Confesso che questa idea [dell’intraducibilità della poesia, n.d.R.] mi ripugna, e non soltanto perché si contrappone all’idea che io stesso mi sono fatto dell’universalità della poesia, ma anche perché si basa su una concezione erronea della traduzione” (p. 11, traduzione di servizio). Analogamente, in un recente saggio di Vladimir Feschchenko (2019), si afferma che un possibile grimaldello teorico-pratico per la traduzione della poesia visiva nei termini di una “transcreazione” – cioè, con l’individuazione e la valorizzazione di un momento specificamente “(trans)creativo” nella resa traduttiva della dimensione grafica – si renda evidente proprio a partire dalla traduzione di e.e. cummings…
…Che la traduzione più difficile e probabilmente impossibile sia, in fin dei conti, quella più ricca di potenzialità?
…questo è allora soltanto un “assaggio” di un lavoro più ampio e articolato? Lo spero di cuore.
Mi sento inoltre di dire che “tradurre” la poesia è necessario e doveroso; probabilmente ci serviamo di un termine limitante o non del tutto esaustivo: nel caso della poesia si tratta di “traghettare”, “accogliere”, “stare in ascolto”, “cercare la voce giusta”, “ospitare” – espressioni tutte, a ben guardare, che cercano di dire che cosa sappia essere la poesia stessa.