Trasfusioni

Mark Halliday, due poesie da Selfwolf, a cura di Stefano Bottero

 

LA SCENA

Grazie per il complimento. Darò per scontato 
che in parte sia sincero. E presto, quando complimenterò 
la tua opera, mi sforzerò di essere sincero. 
Così i nostri rapporti saranno amichevoli–così potremo essere grati 
per la vita sociale che ci spinge a questi complimenti. 
Ma quello che voglio– 
                                            tra dieci o undici anni da oggi 
sei alla finestra, sul presto di una mattina d’inverno;
è una settimana o un mese dalla morte di
qualcuno che conoscevi bene; fissi la scena fredda e rigida
di alberi e pareti di pietra, grigie e nere e grigie…
ammira allora la mia opera. Amala allora.

 

GAMBE

Nell’ultimo anno del mio matrimonio,
tra un centinaio d’altri sintomi ho scritto una poesia chiamata
“La donna oltre il Condotto”–lei era qualcuno
che non ho mai incontrato–aveva le lunghe gambe scoperte
in una notte d’estate in cui rispondeva al telefono
nella sua cucina e alzava le sue gambe sul tavolo
mentre parlava e rideva e io provavo ad ascoltare
dalla mia finestra attraverso il condotto d’aria tra i palazzi
e guardavo le sue gambe. Non credo fosse bella
ma quelle sue gambe erano giovani e lunghe
e lei rideva al telefono

mentre sedevo nel mio buio di fede che si disfa

e così ho provato a catturare o a racchiudere la sconosciuta
in una poesia: il reale e l’ideale,
il disastro di legami sfrangiati contro possibilità incontaminate,
e così via. Imbarazzato adesso
immagino un editore femmina
che ha ricevuto “La Donna oltre il Condotto”
come proposta per la sua rivista–l’avversione che ha provato–
forse il disgusto che ha provato–la immagino
con una leggera smorfia mentre valuta di scrivere “Patetico”
sulla lettera di rifiuto ma lascia invece la lettera in bianco
e si rivolge poi a un’altra busta
di uno scrittore in cui ha imparato a credere,
accavallando le sue lunghe gambe sulla sua elegante scrivania letteraria.

 

*

 

THE SCENE

Thank you for the compliment. I will assume
it is partly sincere. And soon, when I compliment
your work, I will try hard to be sincere.
Thus our relations will be cordial–thus we may be grateful
for the social scene that prompts from us these compliments.
But what I want–
                                            ten or eleven years from now
you stand at a window, early on a winter morning;
it is a week or a month after the death of
someone you knew well; you gaze out upon the chill stiff scene
of trees and stone walls, gray and black and gray…
admire my work then. Love it then.

 

LEGS

In the last year of my marriage,
among a hundred other symptoms I wrote a poem called
“The woman across the Shaft”–she was someone
I never met–she had long bare legs
on a summer night when she answered the phone
in her kitchen and lifted her legs to the table
while she talked and laughed and I tried to listen
from my window across an airshaft between buildings
and watched her legs. I doubt she was beautiful
but her legs were young and long
and she laughed on the phone

while I sat in my dark of dissolving faith

and I tried to capture or contain the unknown woman
in a poem: the real and the ideal,
the mess of frayed bonds versus untouched possibility,
so forth. Embarrassed now
I imagine a female editor
who received “The Woman across the Shaft”
as a submission to her magazine–the distaste she felt–
perhaps disgust she felt–I imagine her
grimacing slightly as she considers writing “Pathetic”
on the rejection slip but instead lets the slip stay blank
and then turns to another envelope
from a writer she had learned to trust,
crossing her long legs on her smart literary desk. 


Mark Halliday è un poeta e letterato statunitense. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia, tra cui Little Star (1987), Tasker Street (1992), Selfwolf (1999), Keep This Forever (2008) e Losers Dream On (2018). Accademico di alto rango – Distinguished Professor, ha pubblicato saggi su poeti e scrittori contemporanei. È sposato alla poetessa Jill A. Rosser.
Influenzata dalla scuola newyorkese, la sua poetica si snoda tra gli scavi esistenziali e le narrazioni quotidiane. I registri linguistici piani, spesso prestati all’ironia – seguendo la lezione di O’Hara – si aprono a scorci lirici profondi, frammentati nella forma e nel senso. Il peso del vivere si riverbera in ogni situazione, dalla più semplice ai momenti di illuminazione. Che non mancano, nel vivere, come non mancano la sete e la fame, il freddo, il desiderio sessuale.

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