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Gianfranco Manfredi, C’era una volta il popolo, DeriveApprodi 2021

«Abbiamo visto come, a partire dalla Rivoluzione francese, il concetto di popolo, dapprima attribuito a quel conglomerato di non-rappresentati definito Terzo stato, vada progressivamente a definirsi non più in negativo (tutti coloro che non appartengono alle classi dominanti), ma in positivo, individuando all’interno stesso del Terzo stato, dapprima un Quarto stato definito come proletariato, e successivamente attraverso un raffinamento dell’analisi di classe con una serie di subdivisioni specifiche o stratificazioni, inerenti secondo Marx non tanto alle fonti dei rispettivi redditi, ma alla divisione sociale del lavoro, all’opposizione degli interessi, al livello di sfruttamento del lavoro, al diverso grado di accesso all’accumulo e al godimento del capitale sociale. Tuttavia, in parallelo a questa sub-divisione analitica, si assiste a una genericizzazione sintetica del termine popolo. L’aggettivo popolare fa sempre più riferimento, a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, a un pubblico generalmente inteso, a una maggioranza numerica, al gradimento comune, al largamente accettato, e viene oggettivato, in più venduto. […] La sublimazione della cultura popolare in cultura di massa è un dato di fatto. Certo, le contraddizioni si mantengono, ma si trasformano di continuo, con dinamiche complesse che richiedono strumenti di analisi e di intervento non riducibili a quelli ereditati. Al termine del secolo lungo, una nuova configurazione industriale e mediatica della comunicazione, incentrata anzitutto sulla serialità, esaltata dalle immagini, cresciuta nell’integrazione tra suoni e immagini, fondata sui sentimenti quanto sulla mercificazione dei sentimenti stessi, cambia i codici tanto della percezione collettiva quanto della sua interpretazione. Della cultura popolare in senso proprio, si può soltanto parlare al passato. C’era una volta il popolo».

Chi meglio di Gianfranco Manfredi può fare un racconto avvicente ed esaustivo della cultura popolare dal I secolo dopo Cristo alla fine dell’Ottocento? Chi meglio del cantautore milanese, autore di romanzi e di saghe a fumetti che hanno raggiunto decine di migliaia di lettori, può passare in rassegna la cultura delle classi popolari che si esprime nel mondo rurale e castellano, dei vagabondi e dei poveri, dei commercianti, dei lavoratori e delle plebi dei centri urbani fino alle soglie del Novecento?
Con una capacità di racconto che attinge a una vastissima conoscenza storica e ai generi più diversi – dai testi autoriali per la musica alla sceneggiatura televisiva, dalla scrittura per il fumetto al romanzo – Gianfranco Manfredi è tra i pochi narratori in grado di proporre al grande pubblico una storia culturale dei rapporti tra ceti subalterni e classi egemoni. Un libro dedicato alla cultura del popolo, quella cultura dal basso che ritroviamo nelle espressioni della vita popolare e negli stili di vita, nelle forme di comunicazione (dalla predicazione religiosa alla propaganda politica) e nei modi attraverso i quali si è dato forma e rappresentazione a quell’insieme sfuggente e mutevole che è il popolo.
Un libro scritto da un amante e frequentatore della cultura popolare, capace di farla vivere tanto nei racconti musicali e narrativi per i quali è noto e qui in un affascinante racconto storico.

Dalla quarta di copertina.

G. Manfredi, C’era una volta il popolo. Storia della cultura popolare, DeriveApprodi 2021.

Gianfranco Manfredi (1948) è uno dei cantautori più importanti del decennio Settanta. Sceneggiatore cinematografico e televisivo, dagli anni Novanta passa al fumetto, dove, lavorando per la Bonelli editore, scrive storie per Dylan Dog, Tex e Nick Raider. Ha scritto e pubblicato saghe a fumetti di grande successo, quali Magico VentoVolto Nascosto e Shanghai Devil, oltre a numerosi romanzi (Magia rossa, 1984) e al saggio Ma chi ha detto che non c’è (2017).

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