Trasfusioni

Michael Palmer, Sole, a cura di Lorenzo Mari

 

Sole

 

Scrivi questo. Abbiamo appiccato le fiamme a tutti i loro villaggi

Scrivi questo. Abbiamo appiccato le fiamme a tutti i villaggi e ai loro abitanti

Scrivi questo. Abbiamo adottato le loro abitudini e il loro abbigliamento

Una parola può assumere la forma di un letto, di un lacrimatoio o di una X

Nel taccuino sta scritto, È tempo di mutazioni, di risate dopo le barzellette, di segreti oltre i confini del discorso

Ora mi occupo del mio uso dei suffissi e della punteggiatura, chiudendo il Signor Cerchio con un singolo tratto, strappando la tela dal muro, insieme a lei, avendo esperienza degli stessi pensieri nello stesso momento, inscrivendoli in una foglia di nespolo

Scrivi così. Abbiamo iniziato a prender corpo, un adesso che è qui e un adesso che è andato, un passato di molto tempo fa e uno che è ancora di là da venire

Lasciatemi andare poiché sono morto e ora sono all’interno di un romanzo e sono stato un poeta lirico, questo è certo, che portava le folle in vetta alle montagne. Per un nichelino salterò fuori da questa scatola. Per un dollaro comunicherò con voi per iscritto e risponderò a tre domande.

Prima domanda. Siamo entrati nella foresta, abbiamo seguito sentieri sinuosi e ne siamo riemersi ciechi

Seconda domanda. La palazzina dove abito, costruita secondo lo Jugendstil, si trova vicino a Darmstadt

Terza domanda. Lui sa che si sveglierà da questo sogno, che si svolge nella sua madrelingua

Terza domanda. Lui sa che i suoi organi respiratori sono manipolati da Dio, e quindi è costretto a urlare

Terza domanda. Non farò conversazione con nessuno in quei giorni della settimana che finiscono per ì e anche negli altri

Scrivi questo. Ci sono il piacere e il dolore e ci sono marchi e segni. Una parola può avere la forma di un fico o di un prosciutto, di un’effigie o di un uovo

                                                                           ma

c’è tempo soltanto per il digiuno e il desiderio, lo strumento e il progetto, c’è tempo soltanto per oscillare, senza arti né organi né faccia verso uno

                                                                           scientifico

silenzio, foro stenopeico della luce

Di’ questo. Sono nato su un’isola in mezzo ai morti. Su questa isola ho imparato la lingua ma non l’ho parlata. È da questa isola che ti sto scrivendo. È da questa isola che sto scrivendo ai danzatori. Su questa isola gli scrittori non danzano

Di’ questo. Nella mia bocca c’è una frase, nella mia bocca c’è una carrozza. C’è una scala. C’è una lampada la cui luce riempie lo spazio vuoto e uno spazio che inghiotte luce

Una parola nel suo stravolgimento. Qui la poesia si chiama “Ciò che il parlare intende dire”

            anche se non ricordo affatto il mio nome

Qui la poesia si chiama “Teoria del reale”, il suo nome è “Diamo un nome” e il suo nome si chiama “Un bastone di legno”. Dice sì sì, no no. Dice uno più uno

Finora sono andato scrivendo un libro, senza usare la mia lingua madre, sui violini e sul fumo, sulle coperte e sui puntini, libero di parlare e diventare le cose delle quali parliamo, pagine sulle quali ci sediamo, ci guardiamo in giro e ci muoviamo in modo risoluto verso il sole che tramonta

Pagine strappate dalle coste e gettate sulla pira, in modo da somigliare al pensiero

Pagine che non accettano inchiostro

Pagine che non abbiamo mai visto – chiamate in un primo tempo “Stradina stretta”, poi “Metà di un frammento”, “Piana delle giare” o “Piana delle canne”, lei che accoglie nella bocca ogni sillaba, ne cambia la posizione e poi la passa a lui

Lasciatemi dire questo. Neak Luong1 è una macchia indistinta. È martedì, nella foresta di latifoglie. Qui sono un visitatore, con un taccuino

Il taccuino elenca “Le mie nuove parole” e “Flag above White”2. Dichiara che non ha alcun contenuto

                           soltanto lettere come A-contro-Sé-stessa, B, C, L, e N, Sam, Hans Magnum, T. Sphere,         

che parlano tutte al buio con le loro mani

                                                                                                                           G per Gramsci
o Goebbels, colline blu, città, città con le colline, moderne e ai confini del tempo
            F per alfabeto, Z per A, una P in un orto, ombra, naufragio silenzioso, tra le stelle W o M

Cos’altro ancora. Pavoncella. Cubo cosmico. X per X, forse. I villaggi sono conosciuti con il nome di “Queste Lettere” – umidi, senza sole. La scrittura ha luogo sulle loro pareti

 

Note

1 Neak Luong è una località della Cambogia. Anche le precedenti menzioni di una “Piana delle giare” e una “Piana delle canne” si riferiscono, rispettivamente, a una regione del Laos e a un’area nel delta del Mekong, in Vietnam.
2 “Flag above White” è il titolo di un famoso collage di Jasper Johns, realizzato nel 1955.

*

Sun

 

Write this. We have burned all their villages

Write this. We have burned all the villages and the people in them

Write this. We have adopted their customs and their manner of dress

Write this. A word may be shaped like a bed, a basket of tears or an X

In the notebook it says, It is the time of mutations, laughter at jokes, secrets beyond the boundaries of speech

I now turn to my use of suffixes and punctuation, closing Mr. Circle with a single stroke, tearing the canvas from its wall, joined to her, experiencing the same thoughts at the same moment, inscribing them on a loquat leaf

Write this. We have begun to have bodies, a now here and a now gone, a past long ago and one still to come

Let go of me for I have died and am in a novel and was a lyric poet, certainly, who attracted crowds to mountaintops. For a nickel I will appear from this box. For a dollar I will have text with you and answer three questions

First question. We entered the forest, followed its winding paths, and emerged blind

Second question. My townhouse, of the Jugendstil, lies by Darmstadt

Third question. He knows he will wake from this dream, conducted in the mother-tongue

Third question. He knows his breathing organs are manipulated by God, so that he is compelled to scream

Third question. I will converse with no one on those days of the week which end in y

Write this. There is pleasure and pain and there are marks and signs. A word may be shaped like a fig or a pig, an effigy or an egg

          but

there is only time for fasting and desire, device and design, there is only time to swerve without limbs, organs or face into a

scientific

silence, pinhole of light

Say this. I was born on an island among the dead. I learned language on this island but did not speak on this island. I am writing to you from this island. I am writing to the dancers from this island. The
writers do not dance on this island

Say this. There is a sentence in my mouth, there is a chariot in my mouth. There is a ladder. There is a lamp whose light fills empty space and a space which swallows light

A word is beside itself. Here the poem is called What Speaking Means to Say

            though I have no memory of my name

Here the poem is called Theory of the Real, its name is Let’s Call This, and its name is called A Wooden Stick. It goes yes-yes, no-no. It goes one and one

I have been writing a book, not in my native language, about violins and smoke, lines and dots, free to speak and become the things we speak, pages which sit up, look around and row resolutely toward the setting sun

Pages torn from their spines and added to the pyre, so that they will resemble thought

Pages which accept no ink

Pages we’ve never seen – first called Narrow Street, then Half a Fragment, Plain of Jars or Plain of Reeds, taking each syllable in her mouth, shifting position and passing it to him

Let me say this. Neak Luong is a blur. It is Tuesday in the hardwood forest. I am a visitor here, with a notebook

The notebook lists My New Words and Flag above White. It claims to have no inside

                        only characters like A-against-Herself, B, C, L and N, Sam, Hans Magnus, T. Sphere, all

speaking in the dark with their hands

                                                                                                                             G for Gramsci
or Goebbels, blue hills, cities, cities with hills, modern and at the edge of time
             F for alphabet, Z for A, an H in an arbor, shadow, silent wreckage, W or M among stars

What last. Lapwing. Tesseract. X perhaps for X. The villages are known as These Letters – humid, sunless. The writing occurs on their walls


“Sun” è il testo conclusivo dell’omonimo libro di Michael Palmer, pubblicato da North Point Press nel 1988, e successivamente riedito nel volume antologico “Codes Appearing (Poems 1979-1988)” (New Directions Book, 2001), che raccoglie tre libri di Michael Palmer: “Notes for Echo Lake”, “First Figure” e, appunto, “Sun”. L’attività del poeta, nato a New York City nel 1942 e residente a San Francisco, si estende prima e dopo gli anni Ottanta: comprende la collaborazione con numerosi pittori e danzatori (da Gerhard Richter fino alla compagnia di danza di Margaret Jenkins), nonché un dialogo serrato con Emmanuel Hocquard (con la reciproca traduzione delle “Baudelaire Series” in francese, nel 1989 e di “Théorie des tables”, in inglese, nel 1994) fino al conseguimento del Wallace Stevens Award nel 2006, per “The Company of Moths” (2005). In quello stesso anno, Palmer ha rilasciato un’intervista nella quale la traiettoria della sua opera poetica viene sinteticamente definita come “una transizione dalla rottura radicale della sintassi verso i misteri del linguaggio ordinario, inteso in un senso filosofico, ma anche di uso quotidiano. Forse ora la mia poesia ha un aspetto meno insolito, sulla pagina, ma quello che mi interessa è il potenziale infinito, inclusivo, del verso – non tanto come pratica confessionale, quanto come conferimento di parola ai tanti sé che hanno sempre fatto parte del cosiddetto ‘io poetico’, dai lirici greci a quelli italiani, fino ai poeti moderni come Mandel’stam”.

Lorenzo Mari

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