Libri

Marco Ercolani – Angelo Lumelli, Cento lettere, Joker 2023

 

Undicesima lettera

Marco Ercolani

Caro Angelo, la poesia come azzardo solitario: c’è qualcosa da aggiungere? Accade, e non ci sono alternative. Occorre far brillare il suo accadere nella scrittura, ma come? Intrattenendo un dribbling stretto con le parole, inventando un realismo ubriaco, un andirivieni. Si parte sempre dall’aria i versi che soffocano non mi interessano. Quelli che restano, ma quali? sono lezioni dell’aria in mezzo alle parole, un groviglio buffo. “Non resta altro che impiccarsi e scrivere!” grida Hrabàl. Possiamo non sentire il suo grido? Che è quello di Alfonso Guida nella sua poesia Craco: “Craco, paese all’insù, / d’ oro fuso, polena / su una colonna d’arpa”. Già, un paese capovolto, una lingua capovolta: e noi ci passiamo in mezzo, reinventando il dio che ha abbandonato la poesia. La creatura vede l’Aperto, esce dalla lingua che coltiva per sradicarla e farne “radice volante”. Mi chiedo solo: perché in tanti scrivano come se mettessero calce fra le parole e non aria. Si accorgono che così la poesia non accade più? Al massimo trionfa nei suoi possedimenti. Con te, Angelo, invece, ho la sensazione che le terre siano forate al centro. Con te parlo dal vuoto abitato, fitto di pensieri nomadici. e questa sensazione mi è cara, mi è chiara. reduce da un ricovero che ha reso visibile e doloroso il mio corpo, ho capito che voglio insegnargli a tacere, almeno per il tempo delle nostre lettere, almeno finché non parlerà solo lui ma io non ci sarò, a sentirlo. Sai cosa mi viene in mente? Che l’idea di vuoto sia simile all’idea di vento. Non mi seduce l’assonanza “vuoto-vento”, ma proprio l’idea che la poesia, muovendo versi e frasi come vele, ci offra una lezione di vento. “dolce e chiara è la notte e senza vento”: qui Leopardi, descrivendo l’assenza dell’aria nella notte, ci presenta un verso che, nei secoli, ha sciolto pietre e monumenti, ed è rimasto emblema di uno sguardo fluido, che buca il centro del mondo come la “ballatetta” di Guido Cavalcanti. Non sono forse le sue “penne isbigotite” ad assicurarci, nel mondo, il “luogo d’aria” che osiamo dire nostro?

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Dodicesima lettera

Angelo Lumelli

Caro amico, dunque sei tornato! – accidenti, potremmo dire, nemmeno i mali hanno cambiato la frase, rimasta tal quale, dall’ultima volta – da smantellare, da ridurre da ultima a penultima, così che abbia scampo, svignandosela, lucertolina che le tenta tutte. Ci sono cose che non si possono dire? – che, se dette, per entusiasmo, per inavvertenza, diventano sistemiche, impedendo il loro stesso assunto, ciò che più ardentemente volevano?
Sai cosa ti dico? – alcune cose è meglio che le dica il linguaggio – dica pure, ma noi abbiamo da dire un’altra cosa, ulteriore. ecco: dobbiamo essere ulteriori, visto che non possiamo essere contemporanei all’accadere.
Qui volevo arrivare: la libertà, ad esempio, intesa come liberazione, come può continuare a liberare se stessa? No, non pensare che sono peggio del solito – ho semplicemente paura che una parola, arrivata alla fine di un percorso tormentato, diventi l’inizio di una soluzione. eh no! – chi fa poesia non ha soluzioni! – quell’idea della poesia in quanto accadere non può diventare una poetica positiva, un’affermazione: noi subiamo quell’accadere, siamo sue creature, siamo nelle sue mani, golosi, riluttanti – noi siamo quelli della nascita, appena nati, ancora una volta, sempre. La nostra festa non è la presentazione al tempio, il giorno della befana! – epifania che tutte le feste porta via!
Siccome, io per primo, in questo nostro corrispondere, ho insistito sul concetto di accadere in poesia, mi accorgo – adesso che tu assumi quella frase come buona, sostenendomi – come quell’accadere fosse nel segno della passività, della creatura inerme che per un istante è gloriosa, un evento che ti prende alle spalle, una ritorsione forse, una torsione verso lo spazio precluso, il grande pensiero della nostra nuca.
L’accadere è l’altare del sacrificio, offrire il corpo in cambio della grazia. Per riassumere: mi onora che tu appartenga a quelli che accadono, ma, per scaramanzia, nel corso di questo rito non incruento, facciamo finta di niente, cerchiamo di lasciarci accadere, mentre il linguaggio pensava che noi volessimo soltanto continuare. e adesso, caro amico, sono con te senza riserve. I titoli, incantevoli, della tua lettera potrebbero essere “le lezioni dell’aria”, “il vuoto del vento”, “le terre forate”. Alla fine la poesia è un atto positivo? – mi sembra di percepirlo, teneramente, dalla chiusa della tua lettera, quel “luogo d’aria” che osiamo dire nostro.
Si può dire – sia nostro. E il corpo? Lo sapevamo che il suo bello era l’incoscienza, con appena il barlume dello star bene, della sua gentile vanità. Adesso, invece, il nostro corpo parla. In questo consiste la malattia. Come abbiamo desiderato che smettesse – ah non sentirlo più! Invece parla, smentendo la sua virtù di sostituirci, di essere al posto nostro, di farci ancora quell’enorme favore!
Tratteremo ancora questo tema.

 

Che senso può avere questo carteggio (dopo l’era dei francobolli, dei postini…) fra due persone, scrittori, iniziato e concluso tra la primavera e l’estate 2023? Si tratta di un colpo di testa, di fortuna, di un parlare sottobanco, per vedere se il linguaggio possa essere già nostro, o non ancora? Uno dei due, senza fare nomi, spergiura di non avere mai scritto lettere, d’essere stato sempre in attesa, come se il linguaggio dovesse arrivare da fuori, anche senza di noi… Come mai questa incredulità, poi questa piccola furia? A interrogare, a rispondere su questioni che sembrano di mestiere, come il mestiere di scrivere, ma che dello scrivere osservano il momento critico, il linguaggio interminabile, le sue pretese, il suo fastidio? Ne è nato questo volume di cento lettere (cento perché gli autori si sono accorti che era ora, appena in tempo per smettere).
Più che improvvisate, sono lettere improvvise, urgenti ed istintive, ombre del corpo sul foglio, come una letteratura fantasma, in ore tarde. Persone, dunque, più o meno “ammalate di scrittura”, che si scambiano lettere, sempre più ansiosamente, prima e dopo la poesia – come se essa fosse il momento che si mette a tacere – momento cercato profondamente, ma dal quale uscire, da capo, nell’alternanza dei toni, come suggerisce Hölderlin, colui che ha scatenato questa smania di condividere, di prendere parte comune. Due voci distinte, che non vogliono l’unisono, piuttosto la diversità pura e non mischiata, persone che prima di quest’esperienza s’erano viste quattro volte nella vita, a distanza di anni, improvvisamente accomunate da un verso fatale: «Abita la vita ed è lontana» (Hölderlin: Die Aussicht / La veduta) – che forse non è la traduzione di un verso, ma il collasso di un grande significato, temibile. Come non pensare che questa lontananza sia un’esperienza di vita allo stato puro, la più luminosa follia, quella che il linguaggio trova dentro di sé, appena provocato, pur tenuto a bada dall’esistere paziente, rendendoci creature che amano rimanere? Questa tragedia, inscritta nel corpo di ogni vivente, non chiede, attraverso queste lettere, di terminare o risolversi, bensì di diventare uno stile e, nella grande debolezza della scrittura, di avere la grazia di un cauto sragionare, attraverso un linguaggio che s’illude di essere continuo, oltre ogni fine, come l’equilibrista che non evita il mancamento sotto i piedi, senza il vano bisogno, affrettato, di precipitare.

M.E.-A.L.

Dalla quarta di copertina

M. Ercolani – A. Lumelli, Cento lettere, Joker 2023.

Marco Ercolani (Genova, 1954), psichiatra e scrittore. Tra i libri di narrativa: Col favore delle tenebre; Vite dettate; Lezioni di eresia; Il mese dopo l’ultimo; Carte false; Il demone accanto; Discorso contro la morte; A schermo nero; Turno di guardia; Preferisco sparire; Destini minori; Un uomo di cattivo tono; Senza il peso della terra; Le forme dell’aria; Sentinella 2010-2022; 14 luglio 1929. Due lettere a Freud; L’età della ferita; Nottario 2015-2022. I volumi di saggistica: Fuori-canto, Vertigine e misura, L’opera non perfetta, Il poema ininterrotto, Fuochi complici, L’archetipo della parola, Galassie parallele. I libri di poesie: Il diritto di essere opachi, Si minore, Nel fermo centro di polvere. Nel 2020 fonda il blog “Scritture”. Partecipa al convegno internazionale “Bruno Schulz: il profeta sommerso”. Collabora a «Doppiozero», «La dimora del tempo sospeso», «Le Nature Indivisibili», «Il Grande Vetro». Pubblica diverse plaquettes per le edizioni Pulcinoelefante e Viadelvento. In collaborazione con Massimo Barbato scrive Paesaggio con viandanti, L’arte della distanza e Corrosioni. Già redattore di «Fanes» e «Arca», con Lucetta Frisa ha ideato la rivista online «La foce e la sorgente» e dirige “I libri dell’Arca”. A quattro mani hanno scritto: L’atelier e altri racconti, Anime strane, Sento le voci, Il muro dove volano gli uccelli, Diario doppio, Furto d’anima. Sito web e blog: http://www.marcoercolani.it http://ercolani.art.blog/

Angelo Lumelli vive alla Ramata, fra le colline del basso Piemonte. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Casa bella casa (1977), Trattatello incostante (1980), Bambina teoria (1980), Seelenboulevard (1999), Per non essere l’acqua che amo (2008), ora raccolte in Le poesie (2020). Ha scritto due romanzi: Un pieno di super (2005), La sposa vestita (2006) e due libri di prose, Bianco è l’istante (2005) e Verso Hölderlin e Trakl (2017). Ha tradotto Novalis, Peter Rosei, Friedrich Torberg. In preparazione: La vecchiaia del bambino Matteo, La doppia faccia della pasta sfoglia (storie di paesaggi, animali e persone). Collabora con artisti visivi, fra cui Pietro Bologna (“Ettaro”, 2022), ed è presente in antologie e riviste, fra cui «Poesia degli anni Settanta», «I percorsi della poesia italiana», «Poesia contemporanea. Campionario con figure», «Poesia italiana del Novecento», «Italian Poetry 1950-1990», «The Promised Land, Italian Poetry after 1975», «Poesia e realtà», «Gradiva», «Sentence». Collabora al blog “Scritture”: http://ercolani.art.blog/

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