Lingua viva

Alessandro Baldacci

 

I.
Ogni ricordo s’incaglia,
il cavalluccio stramazza,
mentre dopo la boscaglia
gridano Führer in piazza,

e lui vestito di rosso,
come una preda che annaspa,
comincia a prendere posto
gridando: «io sono Kaspar».

 

II.
«Sei nato Kaspar, guardati la schiena:
nulla vale di meno di una vita
come la tua, finita ed infinita,
ninna nanna degli ufo che stanno

dentro la testa, oppure nella stanza,
contando insieme a noi le mosche, gli anni,
mentre vengono avanti le baccanti
di Norimberga e iniziano la danza».

 

III.
«Guarda», gli dicono, «vieni,
segui il sentiero gelato,
danza nel buio in cui tremi
con le baccanti su un prato,

poi apri le braccia, sorridi
come se fosse una gioia
restare muti, storditi,
mentre la piazza si affolla».

 

IV.
Le ombre gli dormono in testa
come la brina sui prati,
mentre i bambini nei boschi
corrono assieme eccitati

cercando un nuovo ramarro
da catturare ed esporre
dentro una gabbia, alle stelle,
pensando a lui nella torre.

 

V.
Ogni boccone è uno sputo,
un maremoto dentro la testa,
con le baccanti che fanno ressa
lungo le strade di Norimberga,

mentre lui spinge le sue ginocchia
all’infinito, contro le tempie,
fuggendo il cielo, scortando sempre
la sabbia e gli ufo sino alla bocca.

 

VI.
«Spingi sul dondolo le baccanti
e danza fra foglie d’ortica
prima che tornino tutti quanti
dalla battuta della tua vita,

poi fuggi ancora dentro la gabbia
di questa torre piena di voci»,
pensava Kaspar, nella sua stanza,
sognando di essere il dio dei topi.

 

VII.
Parlava al cielo danzando
con le baccanti di notte
che gli gridavano: «Kaspar,
cerchiamo il dio delle mosche»,

sbatteva infine la testa
al muro, dentro una stanza
dove facevano festa
gli ufo e la folla che avanza.

 

VIII.
Dentro la torre di Norimberga
si nascondeva dalla sua ombra,
poggiava gli incubi a terra
e la sua vista pareva sgombra

da ogni pensiero, come una pianta
che si difende cedendo al sole,
simile a un ufo dentro una stanza
o a un dio che danza finché non muore.

 

IX.
Ogni sorriso era uno sputo
sopra i vetri della faccia,
mentre camminava in piazza
e facevano il saluto

mani tese, corse in fretta
a vedere quella bestia
che teneva stretta stretta
fra le braccia la sua testa.

 

X.
Fatto come di pietra restava
sotto il bancone della taverna,
mentre il borgomastro sognava,
schiacciando una blatta, che eterna

gloria sarebbe stata il pane
quotidiano di Norimberga a patto
che il bimbo, la bestia, rimasto
fosse per sempre loro, come un cane.


A. Baldacci, Il dio di Norimberga, peQuod 2023.

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