Esperienze

Il pericolo del sonno. Primavera del 1796. Sei lettere apocrife fra Wilhelm Friedrich Hegel e Friedrich Hölderlin, di Marco Ercolani

 

Non trovi, Friedrich, che l’uomo sia sempre e solo questa notte, questo nulla che racchiude tutto, questa sconfinata ricchezza di innumerevoli rappresentazioni e immagini delle quali nessuna è presente? Un sogno a occhi aperti, senza limiti, pericolosamente vasto. Possiamo tollerarlo? Quella vastità va racchiusa, il discorso ricomposto. La ragione non smette di ricostruire le mura della casa, oppure tutto resta un vano affanno.

Hegel

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Wilhelm, mi ripeti ciò che già so: mi stupisce, ma non più di tanto, che provi sentimenti simili ai miei. Significa che anche per te franano i confini e la vita è un sogno disseminato nell’aria. Stridano pure le banderuole al vento, io non accetto più mura. Voglio l’Aperto, la Rovina. Da sempre. Non farti mio custode: lasciami essere l’insensato ragazzo che non ha niente da insegnare. Sarei inguaribile nell’ospedale filosofico che sospetto tu voglia costruire. Preferisco la piaga aperta.

Hölderlin

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Piaga, tu dici? Hai ragione. Ciò che qui esiste è la notte, l’interno della natura – un puro Sé, fantasmagoriche rappresentazioni: tutt’intorno è notte, improvvisamente qui balza una testa insanguinata, là un’altra figura bianca, e altrettanto improvvisamente scompaiono. Quando si fissa negli occhi un uomo, si penetra in una notte che diviene spaventosa; a ognuno sta sospesa sul collo la notte del mondo.

Hegel

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Fermati qui, Wilhelm. Non far nascere nessun giorno, nessun sistema di pensiero: sarebbe irreale. Trascorri le ore, se vuoi, sdraiato nell’erba, con la pioggia o la luna piena. Ogni discorso della ragione sarebbe un ponte inutilmente proteso sull’abisso. Quale abisso, poi? Neppure io lo conosco realmente, anche cercandolo. Forse, mentre pronunci la parola spaventoso, lo vedi meglio tu.
Dovessi poi diventare il filosofo che temo diventerai, dovessi diventare l’estraneo che non leggerà più un solo verso del suo amico più caro, ricorda che, con il venire della notte, ti capiterà di dormire: il pericolo del sonno ti sia presente. La notte del mondo ti pende sul collo. Le altre certezze sono fumo, cliniche vane per una ferita inguaribile.

Hölderlin

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Mai lo saranno.
Io costruirò il perfetto argine al pericolo (ma perché devo farlo? Ho troppa paura…)
E qui chiudo i rapporti con te, Friedrich.
Sei la sola persona per cui proverò nostalgia.
Le mie lacrime sull’abisso le conosci solo tu.
Nessun altro ne verrà a capo.

Hegel

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Forse no. Ma finalmente sarai in pace.
Vedo già il castello con le sue fondamenta, e proprio tu lo costruisci: mi vergogno per te.
Cosa ne sai di come mi torturo?
“Un divino tu sei, che mai non crolla”.
Ti rivolgi a me? Ma io sono già crollato. Hai fatto molto male a non essere al mio fianco: ma sei coerente. Hai deciso che la ragione avrebbe avuto ragione di noi. Pazienza.
Io vedo ogni passo, di ogni mio amico, a un soffio da me, ma non vedo il tuo, benché il sonno si avvicini…
Te lo ripeto:
«Mio caro, ho bisogno di te e credo che anche a te potrò servire…»
Ma tu non hai bisogno di me. Non ti servo, né ora né mai. Al contrario, sono l’uccello che insozza i tuoi campi perfetti.
Ma quali campi perfetti, mio cieco amico? La Rovina ci regge entrambi.
Il mio Aperto sconfiggerà la tua Gabbia. Il mio Turbine il tuo Ospedale.
Ma dopo secoli, e non lo saprà mai nessuno.
Per il tuo lavoro di educatore sarai ripagato: l’assegno arriverà puntuale.

Friedrich

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