Fascinazioni

Antonio Tabucchi

 

Le mie Azzorre

Un luogo non è mai solo “quel” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati. Ci siamo arrivati il giorno giusto o il giorno sbagliato, a seconda, ma questo non è responsabilità del luogo, dipende da noi. Dipende da come leggiamo quel luogo, dalla nostra disponibilità ad accoglierlo dentro gli occhi e dentro l’animo, se siamo allegri o malinconici, euforici o disforici, giovani o vecchi, se ci sentiamo bene o se abbiamo il mal di pancia. Dipende da chi siamo nel momento in cui arriviamo in quel luogo. Queste cose si imparano con il tempo, e soprattutto viaggiando. Ma molti anni fa, quando feci il mio primo viaggio alle Azzorre, non lo sapevo ancora.
«Mi riconosci tu, aria, tu che conosci i luoghi che una volta erano miei?». È un verso di Rainer Maria Rilke e in questo libro ricorre. Qualcuno sta tornando in un luogo che conobbe in altri tempi e chiede all’aria (lo spirito del luogo?) di essere riconosciuto, perché lui stesso non riconosce più quel luogo. Non riconosce ciò che guardò un tempo o ciò che a quel tempo provava guardando: le sue emozioni, il se stesso di allora. Ogni luogo nel quale arriviamo in un viaggio è una sorta di radiografia di noi stessi. Spesso, ingenuamente, scattiamo le fotografie nell’illusione di portare via qualcosa. Ma le immagini sono solo la pelle, pura apparenza: ciò che quel luogo provoca in noi nel guardarlo e viverlo non è fotografabile. Succede la stessa cosa con i sogni. Spinti dal desiderio di comunicare l’emozione provata nel sogno, lo raccontiamo a qualcuno, e quasi con meraviglia ci accorgiamo che la storia di quel sogno era banale, era un sogno come un altro: così, a raccontarlo, non comunica nessuna emozione, né in chi vi ascolta né a voi stessi che lo raccontate. Che cosa aveva dunque di così speciale per averci provocato tanta emozione? Niente. L’importante di quel sogno non è che cosa succedeva, ma il modo in cui stavamo vivendo quel qualcosa: il sogno era la nostra stessa emozione. Per un luogo è lo stesso. Raccontarlo non significa descriverlo, ma riuscire a dire, anche in minima parte, le emozioni che vi ha suscitato.
[…]


A. Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli 2015. A cura di Paolo Di Paolo.

One thought on “Antonio Tabucchi

  1. Grazie per questo ricordo di Tabucchi.
    So che l’affermazione è retorica o sentimentalistica, ma la letteratura italiana è di gran lunga più povera da quando lui non c’è più.

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