Esperienze

«Nulla si oppone». Zambrano, Lima, Corrispondenza, di Stefano Bottero

 

Per le Edizioni degli animali, a cura di Alessandra Riccio, è pubblicata lo scorso giugno una raccolta della Corrispondenza tra María Zambrano e José Lezama Lima. Il volume è condotto «sul testo spagnolo della Correspondencia, Edición de Javier Fornieles, Ediciones Espuela de Plata, Sevilla 2006», e raccoglie trentanove lettere – dal 1939 al 1976. L’ultima di queste, da Lima a Zambrano, è accompagnata da una nota di Julio Cortázar, in cui si legge:

Mia cara María: questa è una lettera triste perché a te e a me manca il nostro Lezama Lima, ormai per sempre. È anche necessario che ti chieda umilmente perdono per uno sbaglio involontario ma ugualmente imperdonabile. Nel terribile disordine della mia vita attuale, […] in questa marea, in questo tornado, mi si è sperduto un messaggio che Lezama mi aveva dato per te a maggio, quando l’ho visto all’Avana per l’ultima volta. Avevamo parlato come sempre di te, mischiando il nostro doppio affetto e la nostra doppia ammirazione, e Lezama mi ha detto, ad un tratto, che voleva mandarti due righe, quelle che ora allego alla mia lettera. Perdonami, María, perché penso che magari gli avresti scritto e lui avrebbe potuto leggere ancora la tua lettera.

Un dialogo interrotto, il loro, da una mancanza. O meglio, da un incontro mancato, nella dinamica di un appuntamento a cui – come ogni amore prima o poi prescrive – l’uno si manifesta nell’assenza. Non è solo un punto di arrivo, tuttavia, quello che descrivono le parole di Cortázar. Il contesto della lettera mancata raccoglie implicitamente l’avvicendamento del rapporto epistolare tra i due. Nella scansione degli anni, i poeti approntano una coabitazione paradossale della distanza. Il loro affetto, dichiarato con insistenza quasi ossessiva, appare come un nesso a cui affidano la ragione stessa dello scriversi – a cui, in altre parole, demandano il senso di un rispettivo colpo di reni, volto a trascendere i chilometri. Eppure, come spesso accade, il colpo di reni fallisce. È la stessa Correspondencia a testimoniarlo: l’avvicendarsi delle fasi di parola, la reciprocità nell’occupare il posto, prima attivo e poi passivo, del riferirsi all’altro, affermano per contralto una complessità mai risolta del tutto. Un rapporto, il loro, che si stringe nell’interruzione continua – la stessa che garantisce il lusso dolce, effimero, di ignorare lo scorrere dei mesi. Scrive Zambrano: «Anche lei mi si presenta e ho la viva sensazione di anni della mia vita che sono rimasti come cristallizzati nel tempo». Risponde Lima, altrove: «Non creda che abbia smesso di vederla con il suo azzurro pallido. Nel corso del tempo ho imparato a guardarla come un qualcosa che c’è e non c’è e che ci si presenta come una lontananza».
      In questo parlarsi senza più parlarsi, il ricordo dei luoghi e delle circostanze finisce per sovrapporsi agli individui. Diventano di essi non la rappresentazione ma il significato verbale, la loro intonazione. Si tratta di una radice che attraversa diametralmente la Corrispondenza, che determina i parametri e le modalità del rispettivo rapportarsi al dolore – elemento a cui i due si riferiscono con un genere di costanza che solo l’accumularsi della vita consente. In questo frangente, la morte di Araceli Zambrano Alarcón, nel 1972, è certamente l’evento più emblematico. Presenza stabile dall’inizio alla fine della corrispondenza, oggetto di un’affettività mai attenuata: la scomparsa della sorella di María spalanca la traccia di uno struggimento che richiede, quasi impone, la coabitazione. Il vuoto che resta, incolmato, è fonte di una testimonianza a-due, delicata e tremenda, orientata in larga parte da una concettualizzazione teologica prima ancora che filosofica.

Da tanto silenzio e tanto tempo – quello che non si misura – ho sentito, ricordandomi di Delfi, dove ti ho avuto così presente, che debbo essere io a dirtelo. Ara la mia sorella unica, se ne è andata via da questo mondo il venti febbraio scorso, domenica. […] E così l’ho vista un’ora dopo la sua morte come l’avevo vista indimenticabilmente un’ora dopo la sua nascita. C’era un adeguamento perfetto, era la stessa creatura, solo creatura di nuovo, innocente, casta, maestosa adesso, bellissima, come se la storia – di cui è morta, visto che il suo male mortale è stata la storia – non fosse esistita. Intatta, fragrante, quasi luminosa di luce propria. Una stella quando è nata e adesso una stella, ma la prima si imponeva per la sua vita mentre adesso erano i miei occhi quelli che, ancora volti alla luce di questo mondo, riuscivano appena a vedere; ma la forma, la sua, pura perfetta e la fragranza erano di assoluta presenza.

L’orizzonte è sempre lo stesso – quello dell’essere in un processo fondato dal corpo ma a cui il corpo non prende parte. I due partecipano alla morte, ancora, dalla lontananza, paradossalmente stretti nella compresenza presso il luogo emotivo. Lo stesso, a ben vedere, in cui si raccoglie e determina il pensiero critico di Zambrano rispetto alla poesia dell’amico. In conclusione al volume, seguono infatti alcuni scritti di lei sulla poesia – sulla persona – di lui. Come perimetrandone la segretezza, percorrendo il confine paradossale tra il privato e l’estetico (che il poeta riassume in sé), Zambrano fissa i punti del proprio ragionamento in termini testimoniali. Scrive: «L’immobile crea l’immediato movimento. E il centro della ruota del mondo è una quieta azione, cosa che per una via non aristotelica Lezama seppe, vivendolo nella sua meditazione incessante».
     Questo, forse, il valore definitivo dell’edizione: l’apertura di una finestra sull’abitazione condivisa di una lontananza, di un essersi mancati, che assume oggi il peso di un tracciato che prescrive il suo stesso racconto. Corrispondenza è così un libro di ricordi, quasi – una raccolta di pagine sedimentate nell’indietro, che attestano un cortocircuito relazionale. Viene da chiedersi, infatti, leggendo: come orientare il nostro sguardo se lo si rivolge a una missiva che non è missiva? O ai capitoli di un saggio che non procede per dovere di analisi? Una risposta, l’unica possibile forse, giunge da Lima.

Ma gli amici che vogliamo per noi non stanno mai molto lontano. Io lei la vedo sempre molto vicina, recitando una canzone o glossando una sentenza senechiana. Sorprendiamoci di questa coincidenza, del fatto che un giorno le nostre voci si spargeranno sulla nostra pelle e favoriranno la sacralizzazione della memoria.

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