Fascinazioni

Emil M. Cioran

 

[…] Se Dio ha potuto affermare di essere «colui che è», l’uomo, al contrario, potrebbe definirsi «colui che non è». E proprio questa mancanza, questo deficit di esistenza, risvegliando per reazione la sua tracotanza, lo incita alla sfida o alla ferocia. Avendo disertato le sue origini, barattato l’eternità con il divenire, maltrattato la vita proiettando in essa la propria giovane demenza, egli emerge dall’anonimato tramite un susseguirsi di rinnegamenti che fanno di lui il grande transfuga dell’essere. Esempio di antinatura, il suo isolamento è pari solo alla sua precarietà. L’inorganico basta a se stesso; l’organico è dipendente, minacciato, instabile: il conscio è quintessenza di caducità. Un tempo disponevamo di tutto tranne che della coscienza; adesso che la possediamo, che ne siamo assillati e che essa si delinea ai nostri occhi come l’esatto opposto dell’innocenza primordiale, non riusciamo né ad accettarla né ad abiurarla. Trovare da qualsiasi parte maggiore realtà che in se stessi significa riconoscere che si è sbagliata strada e che si merita il proprio decadimento. […]
Se l’umanità si è dedicata così a lungo all’assoluto, è perché non poteva trovare in se stessa un principio di salute. La trascendenza possiede virtù curative: sotto qualsiasi veste si presenti, un dio significa un passo verso la guarigione. Persino il diavolo rappresenta per noi un aiuto più efficace dei nostri simili. Eravamo più sani quando, implorando o esecrando una forza che ci trascendeva, potevamo servirci senza ironia della preghiera e della bestemmia. Non appena fummo condannati a noi stessi, il nostro squilibrio si accentuò. Liberarsi dall’ossessione di sé: nessun imperativo è più urgente. Ma può un infermo estraniarsi dalla propria infermità, dal vizio stesso della sua essenza? Promossi al rango di incurabili, siamo materia dolente, carne urlante, ossa rose da grida, e i nostri stessi silenzi non sono che lamenti strozzati. Noi soffriamo, da soli, molto più di tutti gli altri esseri, e il nostro tormento, invadendo il reale, si sostituisce ad esso e ne fa le veci: pertanto, colui che soffrisse in modo assoluto sarebbe cosciente in modo assoluto, dunque completamente colpevole nei confronti dell’immediato e del reale, termini correlativi allo stesso titolo che la sofferenza e la coscienza. […]


E. M. Cioran, La caduta nel tempo, Adelphi 2004. Traduzione di Tea Turolla.

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