Fascinazioni

Elio Vittorini

 

Io conoscevo questo e più di questo, potevo comprendere la miseria di un malato e della sua gente attorno a lui, nel genere umano operaio. E non lo conosce ogni uomo? Non può comprenderla ogni uomo? Ogni uomo è malato una volta, nel mezzo della sua vita, e conosce quest’estraneo che è il male, dentro a lui, l’impotenza sua con quest’estraneo; può comprendere il proprio simile…
Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno ha le scarpe rotte, e non più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più vita sua particolare, nulla più di fatto e nulla da fare, nulla neanche da temere, nulla più da perdere, e vede, al di là di se stesso, i massacri del mondo. Un uomo ride e un altro uomo piange. Tutti e due sono uomini; anche quello che ride è stato malato, è malato; eppure egli ride perché l’altro piange. Egli può massacrare, perseguitare, e uno che, nella non speranza, lo vede che ride sui suoi giornali e manifesti di giornali, non va con lui che ride ma semmai piange, nella quiete, con l’altro che piange. Non ogni uomo è uomo, allora. Uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato. Uccidete un uomo; egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, un affamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame.
Chiesi a mia madre: «Tu che ne pensi?»
«Di che?», mia madre disse.
E io: «Di tutti questi ai quali fai la iniezione».
E mia madre: «Penso che forse non potranno pagarmi».
«Va bene», dissi io. «E ogni giorno vai lo stesso da loro, fai loro la iniezione, e speri che invece possano pagarti, in qualche modo. Ma cosa pensi di loro? Cosa pensi che sono?»
«Io non spero», disse mia madre. «Io so che qualcuno può pagarmi e qualcuno no. Io non spero».
«Pure vai da tutti», dissi io. «Ma cosa pensi di loro?»
«Oh,!» mia madre esclamò. «Se vado per uno posso andare anche per un altro», disse. «Non mi costa nulla».
«Ma cosa pensi di loro? Cosa pensi che sono?» io dissi.
Mia madre si fermò in mezzo alla strada dove eravamo e mi rivolse una occhiata leggermente strabica. Sorrise ancora, e disse:
«Che strane domande fai! Cosa debbo pensare che sono? Sono povera gente con un po’ di tisi o con un po’ di malaria…»
Io scossi il capo. Facevo delle strane domande, mia madre poteva vedere questo, eppure non mi dava delle strane risposte. E io questo volevo, strane risposte.


E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Bompiani 2007. Edizione illustrata a cura dell’autore con la collaborazione fotografica di Luigi Crocenzi.

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