Trasfusioni

Paul Celan e “Les Dames de Venise”: un’interpretazione, a cura di Antonio Devicienti

 

LE DONNE DI VENEZIA

Nessuna di voi
vide la clava che vol-
teggiando s’avventava?

È stato
questi che sembra
camminare lento.

  

LES DAMES DE VENISE

Keine von euch
sah die los-
schwirrende Keule
euch gegenüber?

Dieser scheinbar
Schreitende
wars. 


L’edizione di riferimento è Paul Celan, Die Gedichte. Kommentierte Gesamtausgabe, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 2005.

Appartenenti al gruppo di testi ancora inediti alla morte del poeta e non destinate alla pubblicazione, queste due strofe nascono durante il soggiorno di Paul Celan presso la Fondazione Maeght di Vence dal 21 ottobre all’11 novembre 1968, fanno riferimento a diverse sculture di Alberto Giacometti chiamate ciascuna “Dame de Venise” e che furono esposte nel padiglione francese alla Biennale del 1956, quindi accolte a Vence.
Le filiformi figure giacomettiane apparivano a Paul Celan come le ombre dei morti riemerse dalla tenebra dei campi di sterminio[1] (da qui la domanda se non avessero visto la “clava” che, frullando nell’aria, si sarebbe abbattuta su milioni di vite stroncandole). Ma, nello stesso tempo, Celan rimaneva assai perplesso davanti alla figuratività (pur peculiare) dell’arte di Giacometti che riteneva colpevole di continuare ad appartenere a quella stessa maniera rappresentativa e a quella cultura che avevano generato anche i fascismi e i campi di sterminio; Celan pensava infatti che fosse necessaria una rottura radicale con la tradizione figurativa del passato affinché l’arte fosse definitivamente impossibilitata a contribuire alla rimozione della Shoah – il poeta temeva che la tendenza estetizzante dell’arte figurativa avrebbe accentuato l’illusione che nella storia non si fosse verificata quella frattura ch’egli riteneva, invece, radicale e non rimarginabile, attribuendo a tutte le arti il dovere etico indiscutibile di non dimenticare[2].
Celan aveva l’abitudine di segnare a margine, di commentare a matita e di sottolineare i passaggi che più lo colpivano dei libri che leggeva, ma anche di stilare liste di vocaboli i quali sarebbero poi entrati nei suoi testi; ebbene, nell’edizione zurighese del 1933 di Kulturgeschichte Afrikas (Storia culturale dell’Africa) dell’antropologo Leo Frobenius il poeta aveva annotato un passo in cui si parla di strumenti (Schwirrhölzer) usati dai popoli africani per produrre un suono (schwirren) che vale “sibilare, frullare”, come quello delle frecce scoccate o di un nugolo d’insetti o d’ali d’uccello; Frobenius scrive anche che i suoni sibilanti prodotti dai cespugli scossi dal vento vengono creduti voci degli antenati; il verbo composto che Celan impiega marcandolo con la fortissima inarcatura da un verso all’altro (los- / schwirrend) esprime infatti l’idea di qualcosa che frullando e sibilando nell’aria si allontana dal punto di partenza (o di lancio). La domanda rivolta alle Veneziane è, allora, domanda rivolta all’arte stessa, che, immersa in un’inebetita fissità, non aveva saputo vedere quello che si preparava, né aveva avvertito il sibilare della violenza proveniente addirittura già da epoche remote, una sorta di “suono retinico” (bruit rétinien) che Celan sente guardando le sculture e che tematizza nel suo testo[3]
Colui che “cammina lento” potrebbe essere il classico Homme qui marche di Giacometti, ma che viene rappresentato (benché prosciugato e allungato ed emaciato) pur sempre nel solco di quella stessa tradizione artistica figurativa che fu praticata anche dai persecutori, stando all’interpretazione celaniana dell’opera dello scultore, radicalmente differente da quella più largamente condivisa – ecco allora una possibile interpretazione della forma verbale “wars” (forma contratta da “war es”), ossia “è stato lui” a lanciare la clava mortale, proprio nel senso dell’accusa celaniana contro quella stessa cultura che ha preparato e attuato lo sterminio, per cui chiunque abbia condiviso e continui a condividere quel modo di rappresentare il reale è complice e colpevole.
Ma, d’altro canto, si potrebbe pensare a un camminatore che vede nel suo sibilare la clava volteggiare e cercare il bersaglio – e si rimane sempre nel campo dell’accusa contro una cultura che ha generato in sé stessa la Shoah.
E immagino Celan soffermarsi tra le figure della Collezione Maeght, poi muoversi con il suo “camminare lento” che è anche quello della poesia e del dolore, del male interiore che tormentava e straziava il poeta e i suoi rapporti con le persone e col mondo. Quel cammino l’avrebbe condotto circa due anni dopo verso la Senna, definitivamente estraneo a un mondo che non voleva mutare.

Note:

[1] Peter Horn, Die Garne der Fischer der Irrsee. Zur Lyrik von Paul Celan (Athena Verlag, Oberhausen 2011).
[2] Andréa Lauterwein, Graver l’épreuve avant la lettre. Paul Celan et Gisèle Celan-Lestrange in À la croisée des langages. Texte et arts dans les pays de langue allemande (Presses Sorbonne nouvelle, Paris 2006, pp. 127 e 128).
[3] Michèle Finck, Giacometti et les poètes – «Si tu veux voir, écoute» (Éditions Hermann, Paris 2012).

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