Fascinazioni

Albert Camus

 

[…] Solo davanti a sé nella lunga notte, con tutto il tempo per formare i gesti di una vita futura, la paziente lotta con l’idea che sfugge alla curva di una stazione, si lascia riacciuffare e inseguire, arriva fino alle conseguenze e fugge ancora davanti alla danza dei fili brillanti di luce e di pioggia. Mersault cercava la parola, la frase che avrebbe formulato la speranza del suo cuore, racchiuso la sua inquietudine. Nello stato di prostrazione in cui si trovava, aveva bisogno di formule. La notte e il giorno passavano in questa lotta ostinata col verbo, con l’immagine che avrebbe ormai costituito il colore del suo sguardo davanti alla vita, il modo commosso o infelice in cui sognava il suo avvenire. Chiudeva gli occhi. Ci vuol tempo, per vivere. Come ogni opera d’arte, la vita esige che ci si rifletta. Mersault pensava alla sua vita e lasciava vagare la sua coscienza smarrita e la sua volontà di felicità in uno scompartimento che, in quei giorni, attraverso l’Europa, fu per lui come una di quelle celle in cui l’uomo impara a conoscere l’uomo attraverso ciò che lo sovrasta. […]


A. Camus, La morte felice, Rizzoli 1971. A cura di Jean Sarocchi. Traduzione di Giovanni Bogliolo. 

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