Trasfusioni

René Char, Partizione formale XXIII-XXXIII, traduzione di Bruno di Biase

 

René Char: l’etica poetica

Partizione formale è la sezione finale della raccolta Soli restano, contenuta nell’opera Furore e mistero. Si compone di 55 “proposizioni sussidiarie”, secondo la definizione dello stesso autore, ed è la più compiuta ed esplicita dichiarazione di poetica di René Char.
All’interno di Soli restano, in cui si afferma e si realizza l’impegno del soggetto nella storia, Partizione formale rappresenta un’eccezione. Interrompendo un discorso il cui procedere trae origine dagli eventi storici in atto, la seconda guerra mondiale, l’occupazione della Francia e la Lotta partigiana, le 55 tesi si configurano come una rivendicazione di indipendenza della poesia, rispetto alla storia nel pieno del suo “furore”. La missione è quella di proteggere la poesia da un’esposizione incontrastata alla luce degli eventi, “in piena soggettività cosciente”, e mantenere la possibilità del mistero, per salvaguardare “l’assoluto inestinguibile, il ramoscello del primo sole: fuoco non visto, indecomponibile». Oscillante tra furore e mistero, tra engagement e dégagement, il poeta è colui che con la sua volontà di vivere una vita en poète, rende la poesia possibile, altrimenti destinata a rimanere pura forma inespressa: “Nel corso della sua azione tra i coltivi dell’universalità del Verbo, il poeta integro, avido, impressionabile e temerario, si guarderà dal simpatizzare con le lusinghe che alienano il prodigio della libertà nella poesia, cioè dell’intelligenza nella vita.”


XXIII

  Io sono il poeta, sobillatore di pozzi esausti, che la tua lontananza, o mio amore, alimenta.

XXIV

  Tramite un lavoro fisico intenso, ci teniamo al livello del freddo esterno, annullando con ciò il rischio di esserne annessi; in questo modo, nell’ora del ritorno al reale non suscitato dal nostro desiderio, quando è tempo di affidare al suo destino il vascello del poema, veniamo a trovarci in una situazione analoga. Le ruote — queste macerie — del nostro mulino pietrificato si protendono, rimestando acque basse e difficili. Il nostro sforzo riapprende sudori in proporzione. E andiamo, lottatori atterrati ma mai morenti, tra testimoni che ci esasperano e virtù indifferenti.

XXV

  Rifiutare la goccia di immaginazione che manca al nulla, vuol dire votarsi alla pazienza di rendere all’eterno il male che ci fa.
O urna di lauro in un ventre di aspide!

XXVI

  Morire non è se non costringere la propria coscienza, nel momento in cui essa si abolisce, a prendere commiato da alcuni quarti fisici, attivi o assopiti, di un corpo che ci fu relativamente estraneo, poiché non ci fu dato conoscerlo che attraverso espedienti meschini e sporadici. Grosso borgo senza grazia al cui brusio si adoperavano abitanti moderati… E sopra quest’atroce ermetismo s’innalzava una colonna di ombra dalla faccia curva, indolenzita e mezzo cieca, di tanto in tanto — o gioia — scalpata dalla folgore.

XXVII

  Terra mobile, orrenda, squisita e condizione umana eterogenea si afferrano e si qualificano a vicenda. La poesia si ottiene dalla somma esaltata del loro marezzo.

XXVIII

  Il poeta è l’uomo della stabilità unilaterale.

XXIX

  Il poema emerge da una imposizione soggettiva e da una scelta oggettiva.
Il poema è un’assemblea in movimento di valori originali determinanti in relazioni contemporanee con qualcuno che tale circostanza rende primo.

XXX

  Il poema è l’amore realizzato del desiderio rimasto desiderio.

XXXI

  Alcuni reclamano per lei la sospensione dell’armatura; la loro ferita ha lo spleen di un’eternità di tenaglia. Ma la poesia che va nuda sui suoi piedi di calamo, sui suoi piedi di sasso, non si lascia ridurre in nessuna parte. Donna, sulla sua bocca noi baciamo il folle tempo, dove fianco a fianco col grillo zenitale, essa canta la notte dell’inverno nella povera panetteria, sotto la mollica di un pane di luce.

XXXII

  Il poeta non si irrita per la turpe estinzione della morte, ma fiducioso del suo particolare tatto, trasforma ogni cosa in lane prolungate.

XXXIII

 Nel corso della sua azione tra i coltivi dell’universalità del Verbo, il poeta integro, avido, impressionabile e temerario, si guarderà dal simpatizzare con le lusinghe che alienano il prodigio della libertà nella poesia, cioè dell’intelligenza nella vita.


R. Char, Seuls demereunt, Gallimard 1962.

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