Libri

César Vallejo, Trilce, Argolibri 2021

 

LXXV

Siete morti.

    Che strano modo di esserlo. Chiunque direbbe che non lo siete. Eppure, in verità, siete morti.

  Nullamente fluttuate dietro questa membrana che, pendente dallo zenit al nadir, viene e va da crepuscolo a crepuscolo, vibrando davanti alla cassa sonora di una ferita che non vi procura alcun dolore. Vi dico, dunque, che la vita è nello specchio e voi siete l’originale, la morte.

   Mentre l’onda va, mentre l’onda viene, come si sta impunemente da morti! Soltanto quando le acque s’infrangono contro le opposte rive e ripiegano senza sosta su loro stesse, soltanto allora vi trasfigurate e credendo morire, percepite la sesta corda che non è più vostra.

   Siete morti, non avendo mai vissuto prima. Chiunque direbbe che voi, non essendo ora, siete stati, in un altro tempo. Eppure, in verità, voi siete i cadaveri di una vita che non è mai stata. Triste destino. Non esser stati morti se non già da sempre. Essere foglia secca, senza essere mai stati verdi. Orfanezza delle orfanezze.

   E tuttavia, i morti non sono, non possono essere cadaveri di una vita che non hanno ancora vissuto.
I cadaveri sono sempre morti di vita.

   Siete morti.

  

Due immagini, per iniziare: uno scrittore, recluso in una stanza, che si siede al suo tavolo disadorno e prende carta e penna; poi, in rapida successione, un bambino che, nella stessa stanza, si infila un cucchiaino su per il naso. Entrambe le immagini si riferiscono a César Valleyo e alla scrittura di Trilce; del resto, hanno entrambe a che fare con l’alternanza tra confinamento e libertà, nonché con l’esperienza dell’assurdo che circonda questa stanza, stringendola d’assedio, per poi entrarvi. «Absurdo, sólo tú eres puro…» Trilce è tutto questo: un’opera al tempo stesso solenne e trasgressiva, enigmatica e viscerale; si tratta, come ha osservato Roberto Paoli, primo traduttore dell’opera di Vallejo in lingua italiana, di un «libro stranissimo, così grande e insieme così discutibile, così soggiogante e insieme così  ispido e sfuggente». Pubblicato nel 1922…

Dalla nota di Lorenzo Mari

C. Vallejo, Trilce, Argolibri 2021. A cura di Lorenzo Mari. Con uno scritto di Giuliano Mesa.

César Vallejo nacque a Santiago de Chuco, un villaggio andino del Perù. Minore di undici figli, interruppe varie volte gli studi per lavorare in una piantagione di canna da zucchero. Dopo una serie di difficoltà riuscì a pubblicare il suo primo libro di poesie intitolato Gli araldi neri (1919). Sua madre morì nel 1920 e, rientrato a Santiago de Chuco per i funerali, fu imprigionato per 105 giorni con l’accusa di essere un incendiario coinvolto in una sommossa popolare, prima di dimostrare la propria innocenza. Nell’isolamento del carcere scrisse Trilce (1922) opera tuttora considerata uno dei massimi capolavori del ‘900. L’anno seguente partì per Parigi dove rimarrà fino alla sua morte, viaggiando in Italia, Spagna e Russia. Impegnato in prima linea nella Guerra Civile Spagnola, scriverà numerosi articoli e pièces teatrali anti-franchiste, report di viaggio e romanzi come Tungsteno (recentemente pubblicato da SUR),  nonché il suo poema più politico, Spagna, allontana da me questo calice, che apparve nel 1939, stampato un anno dopo la sua morte dagli stessi soldati dell’esercito repubblicano.

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