Libri

Vito M. Bonito, Di non sapere infine a memoria (1978-1980), L’arcolaio 2021

 

ombrerosse 
1978 

I

il cuore dello stato
lo si poteva toccare

uccidere persino
come un neonato

io mi costruivo giocattoli
tornavo bambino

la lavanda nei cassetti cantava
io cantavo

non sei non sei
mai stato

come un parassita celestiale
entrava in me
il comunismo parrocchiale

*

stasimo 
(canto fuoriposto) 

I

come faccio a dirti come sono?
come faccio le parole?

seduta qui tra sedie vuote
come faccio a togliermi
questo vento dagli occhi?

tu alla mia età
alle sedie vuote ci parlavi?

  

L’ultimo atto poetico di Vito Bonito si dispiega entro una cornice storica in dissoluzione, il Novecento, che  a stento riesce a contenere le voci cantilenanti, remote e disamplificate, cui è affidato il “racconto”. Emergono allora come “fotocomposizioni” voci della prosopopea, da ritagli testimoniali, da dettagli personali, da un sogno infranto. La lingua si avvicenda nei risvolti della storia, nella sua fibra umana più irriducibile, senza la pretesa di riordinare gli eventi di un’epoca al fine di dare credito a una verità. Tra l’oblio e i refusi della memoria si intravede dunque una strettoia in grado di circoscrivere il fallimento delle grandi aspirazioni umane, ormai conchiuso in ciascuno in una privatezza isolata e sorda, in un’auto-segregazione della coscienza. Il testo fa luce su questa strettoia, a intermittenze, ad abbagli. Resta tuttavia vigile nell’opacità, con il suo mandato sacrificale, la figura dell’inquilino (Aldo Moro), solo con il proprio destino segnato, ospite da rimuovere per mano dei suoi stessi carcerieri, ai quali mostra (e ci mostra) la loro natura paradossale, ridotta all’idea dialettica e incomprensibile per la quale lottano. Nel dualismo vittima/carnefice del genere tragedia ogni possibilità di io/tu viene orientata alle sue estreme conseguenze. E i conti con la memoria, tra gli scheletri dell’oblio, vengono assunti qui dalla maschera tirannica di una visione grandiosa morta, che fa ancora le veci di un fantasma della libertà ormai svanito in se stesso, posta banalmente di fronte allo spettacolo di cui pure si è resa artefice.

Luciano Neri

Dalla quarta di copertina

V. M. Bonito, Di non sapere infine a memoria (1978-1980), L’arcolaio 2021.

Vito M. Bonito ha pubblicato fabula rasa (Oèdipus 2018 – finalista premio Montano e premio Bologna in Lettere); la bambina bianca (Derbauch 2017); Soffiati via (Il Ponte del Sale 2015 – premio Nazionale Elio Pagliarani 2015); Luce eterna (Galerie Bordas Venezia 2012); Fioritura del sangue (Perrone 2010); Sidereus Nuncius (Grafiche Fioroni 2009); La vita inferiore (Donzelli 2004); Campo degli orfani (Book 2000 – finalista premio Metauro); A distanza di neve (Book 1997). È presente in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Crocetti 1996); in Parola Plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli (Sossella 2005); in Trent’anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni (1971-2000), a cura di Alberto Bertoni (Book 2005).

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