Fascinazioni

Jean Grenier

Esiste in ogni vita e particolarmente al suo inizio un attimo che decide tutto. Quest’attimo è difficile da ritrovare; è sepolto sotto il cumulo degli istanti che gli sono scorsi addosso a milioni e il cui vuoto atterrisce. Quest’attimo non è sempre un lampo. Può durare lo spazio di tutta l’infanzia o della giovinezza e colorare d’una particolare iridescenza gli anni apparentemente più banali. La rivelazione di una creatura può essere graduale. Certi bambini sono così sprofondati in se stessi che l’alba sembra non levarsi mai su di loro, e ci si sorprende di vederli alzarsi come Lazzaro, scrollando il loro sudario di fasce. È quello che m’è accaduto: il mio primo ricordo è un ricordo di confusione, di sogno diffuso che si allunga sugli anni. Non c’è stato bisogno di parlarmi della vanità del mondo: ne ho sentito, ancor di più, la vacuità.
Non ho conosciuto istante privilegiato a partire da cui il mio essere avrebbe preso un senso, uno di quegli istanti ai quali in seguito avrei riferito ciò che m’era stato rivelato di me stesso. Ma sin dall’infanzia ho conosciuto diversi stati particolari che non erano, nessuno di essi, premonizioni ma monizioni. In ognuno, mi sembrava (poiché si potrebbe usare un’altra parola) di toccare qualcosa che stesse fuori dal tempo. La mia grande impresa avrebbe dovuto essere domandarmi che cosa significassero esattamente questi contatti, costruire un legame tra essi, insomma fare come tutti gli uomini che vogliono rendersi conto di quanto accade dentro di loro e confrontarlo col mondo, trasformare le mie intuizioni in sistema – un sistema abbastanza duttile da non rendere sterili queste intuizioni. Ma al contrario ho lasciato che questi fiori appassissero uno dopo l’altro. Ho corso dall’uno all’altro – in viaggi che non avevano quasi altro scopo.


J. Grenier, Isole, Mesogea 2003. A cura di Caterina Pastura. Introduzione di Albert Camus.

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