Fascinazioni

Jan Zábrana

Negli anni ’50, quando ci chiedevamo sempre la stessa cosa, Helmuth e io, cioè se fosse possibile vivere, sopravvivere in un regime totalitario e in uno stato di polizia, un bel giorno mi aveva detto: «devi nasconderti, altrimenti ti uccideranno, prima o poi. Possono ucciderti fisicamente ma possono anche demolire la tua integrità – sgrossarti con la lima e poi lavorare di fino con la carta vetrata. Non c’è altro che gli interessi, e quando intercettano il minimo sospetto di indipendenza e infedeltà… Il modo migliore di nascondersi è restare continuamente bene in vista, ma come se fossi qualcun altro…» A volte – Helmuth vive ormai da sette anni nella Germania Ovest – mi ritornano in mente le sue parole: mi sono attenuto a queste condizioni “diventando” allora traduttore e restandolo fino a oggi? O sono diventato, senza virgolette, veramente traduttore, provando semplicemente a me stesso che non c’è mai stata una via d’uscita?”

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Nella primavera del 1968 non ho visto solo gente felice, ho visto anche gente che se la faceva sotto dalla paura per la libertà che si diffondeva. E non erano vecchi, ma miei coetanei. E non si trattava sempre di gente che avrebbe avuto ragione di preoccuparsi di dover magari pagare per aver fatto qualche stronzata. No. Semplicemente, era gente che ci teneva alle proprie abitudini, erano “praticanti della vita”.

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Quelli che non erano in vita da vivi – che cosa dimostrerà la loro vita quando saranno morti?

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Non c’è nessuna speranza per la nostra generazione. Due disfatte seguite da decenni di impotenza, di imbavagliamento, sono più di quanto una generazione possa sopportare, superare. La sola cosa che resti in nostro potere è che stavolta la storia e le testimonianze di quest’epoca non siano scritte dai vincitori. Abbiamo il potere di sottrargli questo antico privilegio. Nell’antica Cina, gli scrittori andavano a vivere in campagna o nei monasteri. Qui si tratta di procurarsi un cane e uno studio.

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Dopo quasi trent’anni di mestiere posso tradurre perfino quello che nessuno ha mai scritto.

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La cosa migliore che vidi in questo mondo fu il cielo, la cosa migliore che udii in questo mondo fu il silenzio, la cosa migliore che conobbi in questo mondo fu la solitudine.

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Il miglior traduttore non è quello che traduce come si deve, ma come vuole lui. Ora non mi va di dilungarmi sulla questione. Ma è quello che mi hanno insegnato ventisei anni di traduzione.

  


J. Zábrana, Tutta una vita, :duepunti edizioni 2009. Edizione curata, annotata e presentata da Patrik Ourednik con un saggio di Olga Spilar.

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