Benjamin Fondane, Nel filo del tempo, traduzione di Domenico Brancale
Che cos’è la poesia e che cos’è il poema? Non si abbia fretta di decidere se la poesia è proprio ciò che il poema rivela, è proprio ciò che il poema tradisce.
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S’intende per poema un oggetto deliberatamente fabbricato, completato, finito, un taglio nel discorso, un’intenzione bloccata, qualcosa che si misura, che ha un inizio e una fine, che può stare nel palmo di una mano, che si custodisce con l’orecchio. Ma, più profondamente, il poema è ciò che porta l’impronta di un individuo; questo o quello, che si crede abbastanza importante per esprimere il suo essere caduco, abbastanza forte per dirigere l’atto dell’espressione, abbastanza intelligente da essere in grado di perseverare nel suo modo – nel senso di Spinoza – e che vuole rimanere modo e gli interessa poco di diventare sostanza.
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È possibile esprimere ciò che abbiamo da dire? Certo. Almeno è questo, ciò che ne abbiamo pensato quasi fino a oggi. Solo questo era il problema: come dirlo/esprimerlo? in che maniera? Se le convenzioni in uso sul linguaggio, il metro, il ritmo non sono più adatte alla nuova cosa da dire, allora le abbandoneremo, ne adotteremo di nuove. Non c’è rivoluzione nella cosa da dire che non sia stata legata a dei problemi di forma.
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Non cancellate, dicono i Signori Breton ed Eluard, se non volete che l’imbecillità la faccia da padrone. Avete qualcosa da dire, ebbene, ditela. La cosa da dire è il cominciamento e la fine dell’arte. Nessun modo di dire. Nessun problema di linguaggio. Non importa nemmeno quale lingua usiate, la vostra o un’altra. La sintassi, il numero, la quantità, il ritmo, la tonicità sono «Letteratura». Così i versi sono diventati intercambiabili non solamente all’interno dello stesso poema, ma da un poema all’altro e dal poema di un tale poeta a quello di un altro.
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Ogni età ha, della poesia, come della verità e della vita, la sua idea particolare, che crede la sola legittima; e, in effetti, è la sola legittima per tutti gli esseri che partecipano al suo movimento. In nome di cosa, infatti, la giudicheremmo? Lei è fondata sul Consensus Omnium.
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Non possiamo giudicare un’opera e condannare i suoi mezzi, solo nella misura in cui si discostano da ciò che ne pensiamo; così il secolo XVIIesimo, senza alcuna eccezione nota, aderiva alla poetica di Boileau. Abbiamo cominciato a giudicare questa arte poetica solo dal momento in cui abbiamo smesso di crederci. Ma si tratta allora di un partito preso più che di un giudizio oggettivo.
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Pascal aveva ragione a denunciare “l’autore” e di cercare l’uomo. Scomparire è il primo dovere dell’autore, di farsi dimenticare, dopo aver dato all’uomo la possibilità di esprimersi. «Si arriva così all’Ignoto». E se non ci fosse l’Ignoto, probabilmente non ci sarebbe neanche l’uomo.
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Noi che non abbiamo abbandonato la Poesia, né spezzato lo strumento, noi per cui la bellezza è «di questo mondo», e che cerchiamo i suoi favori, abbiamo il diritto di fare Nostro il pensiero rimbaudiano? Non possiamo discutere ciò che si dà come esperienza. Invece, siamo tenuti a esaminare ciò che si dà come tecnica.
(A seguire.)
Il testo Au fil du temps di Benjamin Fondane, fu pubblicato sul n.1 di Septembre, rivista diretta da Marguerite Imbert, a Saint Julien en Genevois nel marzo 1951. Postumo, fu probabilmente messo a disposizione dalla moglie del poeta, Geneviève Fondane. Fa parte degli appunti di Rimbaud le voyou.