E il destino di Van Gogh?
Pensate a Mandelst’štàm, pensate a Pasternàk, a Chaplin, a Dovženko, a Mizoguchi, e comprenderete quale enorme forza emozionale sia riposta nelle immagini sollevate alla massima altezza al di sopra della terra o, più esattamente, aleggianti al di sopra, di essa, nelle quali l’artista si erge davanti a noi non soltanto come indagatore della vita, bensì anche come creatore di elevati valori spirituali e di quella particolare bellezza che è in potere soltanto della poesia.

  Per me la verosimiglianza e la verità interiore consistono non tanto nella fedeltà al fatto, quanto nella fedeltà all’espressione del sentimento.

  Bisogna far ricorso all’osservazione della vita e non alla costruzione stereotipata e senz’anima di una falsa vita in nome del gioco all’espressività cinematografica.

   Per mezzo dell’arte l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva.

   Insomma, l’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua, in una goccia soltanto!

   Un libro letto da mille lettori è mille libri diversi… Questo è un aspetto fondamentale del rapporto tra scrittore e i suoi lettori ed è una sorta di cavallo di Troia nel ventre del quale lo scrittore si insinua nell’anima del suo lettore.

   Ed io sono convinto che, se all’artista riesce di fare qualcosa, ciò avviene soltanto per il fatto che gli uomini hanno bisogno di questo, anche se in quel momento essi non ne sono coscienti. Perciò è sempre lo spettatore che vince e riceve, mentre l’artista perde e dà.

   In tutti i film da me girati mi è stato sempre molto a cuore il tema delle radici, dei legami con la casa paterna, con l’infanzia, con la Patria, con la Terra. Per me è sempre stato molto importante infatti stabilire la mia appartenenza a una tradizione, a una cultura, a una cerchia di persone o di idee.

A. Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri 2002.