Fascinazioni

Scipione (Gino Bonichi)

 

A un reverendo

[senza data]

Oh! avessi io dato retta a quella voce che mi seguiva da presso e con la quale Dio mi indicava quella che doveva essere la mia vita. 
Oh! che adesso sarei a cantare le lodi del Signore invece di essere un rottame di naufragio che l’oceano deve consumare. 
O mio amato Padre, quante volte ho desiderato una sua parola e la sua benedizione e mai Le ho scritto, perché sentivo di aver sciupato tutto, di aver tradito ogni cosa. Che cosa sono tutti i miei peccati di fronte all’aver io resistito al volere di Dio, che era sceso fino a me, indegno suo figlio, a indicarmi la strada?
Ora tutto mi è chiaro. Lei, caro Padre, una volta mi scrisse essere io prediletto da Dio. Infatti mi accorgo ora che non è rimasto intentato nulla perché io mi salvassi, perché io camminassi le sue strade; e sempre io ho rovinato tutto; e sempre io ho chiuso il mio cuore alla sua voce.
Mi prese per mano, mi portò nella certosa e mi diceva in orecchio: Fatti certosino, fatti certosino.
Oh! non era la sua voce che mi diceva quello? Sì, sì, carissimo Padre, ora lo sento, ora so tutto.
Ma io ridevo e, anche se consideravo la cosa, facevo un ragionamento meschino che ora proprio glie lo voglio dire: Mi dicevo:
Nella mia persona c’è una cosa che predomina: la sensualità; e quindi io riuscirei un cattivo monaco. Vedevo lotte tremende e poi una vita che sarebbe diventata falsa.
Ma misero che ero! Ma non ci sarebbe stato Dio al mio fianco a combattere con me? E se Lui mi aveva portato per mano nella certosa, non avrebbe pensato Lui a fugare le mie passioni? O non era appunto perché conosceva la mia natura che aveva voluto mettermi davanti il luogo della pace, il luogo della gioia, della mia vera felicità? Come uomo dovevo vivere nel bene e come pittore dovevo dipingere. Che cosa altro dovevo fare nella vita?
Adesso mi è palese tutto. Invece allora che cosa successe? Dopo quella pausa bianca, cara, che è forse la cosa più buona della mia vita, fui ripreso in un vortice appunto in cui la mia natura di sensuale precipitò e adesso vedo appunto che cosa era il mio corpo in balia di se stesso e senza l’aiuto di Dio. Nei sensi sono debole come un fuscello. Il sangue mi cominciò a turbinare e io come un disgraziato cedo ad ogni cosa, al pensiero, all’azione, a tutto. Il sangue è un incendio nelle mie vene e non vuole che bruciare, bruciare ogni cosa.
Padre, lasci che io mi confessi con Lei. Ho bisogno di essere compatito e di dire a qualcuno la mia pena.
Non ho rispettato alcuna cosa ed ero dominato dalla lussuria infame. Dentro il mio corpo c’era questa bestia immonda che si ravvoltolava nelle mie membra, che pure una volta erano solo di Dio.
La mia fantasia diventò del tutto corrotta e servì a farmi precipitare in una abiettitudine morale tremenda.
Ero un invasato, sfatto dal male e male stesso.Finché non mi raggiunse finalmente il male fisico, e io ricaddi ammalato.
Però devo dirLe anche di un segno speciale, divino, di quel tempo; che mi sembra di averglielo detto altra volta. Quando proprio io ero disceso così in basso, ci fu una notte che in un vagabondaggio che feci per le strade di Roma a casaccio, mi ritrovai in un posto solitario vicino al Gianicolo e accanto alle carceri. Era tardi, non passava anima viva ed era buio. Mi fermai e mi parve di sentire come un mormorio di preghiera. Questo si ripeté più distinto per la mia attenzione e mi accorsi che erano risposte di preghiere in coro e che venivano dalle finestrette del primo piano della casa che mi era accanto. Quelle preghiere nella notte mi scossero e allora cercai l’entrata di quella casa, che trovai all’angolo della strada e che mi sembrò come la porta di una chiesina. Poi me ne tornai a casa, dormii un poco, ma la mattina alle sei dovetti alzarmi e fui trasportato da un desiderio di vedere quella chiesina se era possibile.
Non può immaginare che impressione ebbi quando, nel varcare la soglia di quella chiesina, dall’altare maggiore mi venne incontro l’immagine della Santa Teresina e il mio stupore crebbe quando seppi che quella chiesina era del Carmelo ed era dedicata alla Svegliarina celeste. Pensi, Padre mio, è l’unica chiesa dedicata alla Santa in una Roma che adesso è immensa.
E io ancora una volta ero stato portato per mano.
Lei credeva a questo punto che io, percosso dalla grazia di Dio in maniera così palese, abbia abbandonato la mia vita dissoluta. Chi non l’avrebbe fatto? Chi poteva essere quel disgraziato se non io? Ci fu, è vero, un momento di abbandono e di rimorso. Mi confessai, tornai alla chiesina e mi avvicinai alla santa Comunione. Ma poi, Padre, poi come dirLe che sono un buono a nulla, un disgraziato, un infelice… 


Scipione, Carte segrete, Einaudi1982. Prefazione di Amelia Rosselli. Nota di Paolo Fossati.

Scipione, Via che porta a S. Pietro, olio su tavola, 1930, (40×47,8)

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