Stig Dagerman, Il serpente, Iperborea 2021
«In quanto scrittore, non ritengo affatto che rientri tra i miei doveri tranquillizzare, costruire frangiflutti. Considero un obbligo, per quanto è in mio potere, inquietare e abbattere argini.»
Dalla quarta di copertina
L’esordio narrativo, finora inedito in Italia, con cui l’appena ventiduenne Stig Dagerman si guadagnò nel 1945 la fama di nuovo talento della letteratura svedese raccontando, sullo sfondo di un Paese in mobilitazione generale, la paura della paura.
Mentre la Seconda guerra mondiale opprime l’Europa, un serpente infesta un sonnacchioso campo di addestramento della campagna svedese e un’altrettanto inoperosa caserma di Stoccolma durante la mobilitazione generale. Nella sua concretezza di corpo ora si scopre, ora si copre alla vista, ma il simbolo maligno che incarna sa piantarsi nella psiche di chi ci si è imbattuto. Il primo a vederlo è il sergente Bohman, al comando di uno svogliato gruppo in esercitazione, e subito un crampo lo stringe come in un cerchio di ferro. Il soldato Bill lo cattura a cuor leggero, forse solo per strappare al sergente qualche ora in più di libera uscita in cui togliersi una voglia con Irène prima di una festicciola a base di ragazze e bevute. Ma il serpente che crede di avere al sicuro nello zaino gli infesterà i sogni, getterà nel panico gli amici e confonderà realtà e fantasia tanto a lui quanto a Irène. Sotto forma di odore di paura, poi, aleggia pungente in «Non riusciamo a dormire», in cui otto reclute cercano di scacciare l’insonnia raccontandosi storie di vita vissuta. E di strategie contro l’angoscia, con le menzogne che comportano, saranno in cerca tutti i personaggi del libro. Tutti tranne Scriver, alter ego dell’autore, convinto che il serpente sia sempre lì, manifesto o latente, e che sia responsabilità di ciascuno prenderne atto, anche fino alle estreme conseguenze. Il serpente, che sia un romanzo, come gli entusiasti recensori lo definirono nel 1945 quando uscì, o una raccolta di racconti collegati, mette in campo ricchezza metaforica, potenza simbolica e beffarda ironia, movimentate da arditi salti di registro, per mostrare che la sola via per l’umano è non aver paura della paura.
S. Dagerman, Il serpente, Iperborea 2021. Traduzione e postfazione di Fulvio Ferrari.
Titolo originale: Ormen, Norstedts 1945.
Stig Dagerman (1923-1954). Anarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell’inviolabilità dell’individuo, Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il viaggiatore, Il nostro bisogno di consolazione, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell’impossibile e Autunno tedesco. Il serpente, uscito in Svezia nel 1945, è il suo libro di esordio.