Fascinazioni

Juan Rodolfo Wilcock

 

Il romanzo

In origine il linguaggio ha per scopo la comunicazione utile; allo stato di interiezione la comunicazione utile è ancora totale; a partire da questo stadio ogni perfezionamento del linguaggio tende alla comunicazione inutile; soltanto con un linguaggio altamente perfezionato è possibile la comunicazione zero, ossia l’incomunicazione (una pagina intensa di Heidegger, per esempio, o un saggio di critica letteraria concettuale). Se prendiamo come ascissa la perfezione del linguaggio e come ordinata la capacità di comunicazione, la curva dell’informazione orale assume la forma asintotica caratteristica dell’iperbole, per cui a ogni progresso del linguaggio corrisponde un ulteriore calo della comunicazione.
La letteratura, benché derivata dal linguaggio, non è tuttavia la derivata del linguaggio, né la derivata dell’informazione (d’altronde costantemente negativa, come si vede dalla semplice rappresentazione grafica della precedente curva); l’andamento della sua funzione è diverso. In origine il fatto letterario è il canto o il racconto rivolti a un pubblico presente; poi diventa canto o racconto rivolti a un pubblico non presente; spinto al limite, diventa canto o racconto rivolti a un pubblico zero. Nella sua rappresentazione grafica non compare la comunicazione, perché la letteratura ha con essa una relazione arbitrariamente variabile. Se invece di rappresentarla in coordinate ortogonali, la rappresentiamo in coordinate polari, con per vettore il «contatto diretto con il pubblico» e per anomalia l’evoluzione letteraria, la funzione letteratura assume la forma di una normale spirale logaritmica.
Da una tale curva, sempre più avvicinantesi al suo centro di coordinate, si deduce che, così come l’evoluzione del linguaggio porta alla comunicazione zero, l’evoluzione letteraria porta sempre più strettamente al contatto dell’autore con se stesso. Cioè, al fatto di scrivere per se stesso.
Per questo motivo molte tra le opere letterarie più notevoli dell’Ottocento, e quasi tutte tra quelle del Novecento, sono andate perdute. Esempio: in Italia, nei penultimi decenni, quasi nessun poeta al di sopra del modesto livello detto ermetico-postermetico ha fatto conoscere al pubblico le sue opere.
Non si includono tra queste perdite quelle dovute al silenzio; il silenzio totale, come fatto sia linguistico che letterario, occupa nei riguardi della parola detta o scritta il posto che occupa l’infinito nei riguardi della retta: lo si può pensare a destra, lo si può pensare a sinistra, ma agli effetti pratici non è conteggiabile, e nemmeno passibile, come gli altri punti, di ordinamento.
Il fenomeno qui considerato non è, dunque, l’autore di un niente, bensì l’autore di un’opera il quale non comunica adeguatamente al pubblico l’opera creata. E non l’autore che la cela totalmente e irrimediabilmente, perché in tal caso lo si dovrebbe annoverare tra gli emissori di silenzio, già eliminati; ma l’autore che in previsione di una vita futura lascia i propri prodotti in luoghi più o meno accessibili, nella speranza che la vita futura sia tale da permettere, non fosse che nel corso di brevi vacanze, il godimento delle proprie opere. Giacché nessuno scrittore con senso artigianale scrive soltanto per questa vita: sarebbe come scrivere soltanto per la televisione. […]


Dalla prefazione a M.P. Shiel, La nube purpurea, Adelphi 1967.

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