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Ulrich van Loyen, Napoli sepolta, Meltemi 2020

Anche se è stata risparmiata dal disincanto del mondo, Napoli è una città moderna. Ambigua già dal punto di vista geologico, ha sviluppato un’affinità con il regno di mezzo: transgender e fantasmi, comunità adottive come famiglie, teschi anonimi come antenati. Con il suo reportage scientifico, Ulrich van Loyen si spinge in queste zone liminali cercando di decifrare la matrice della città sulla base del culto dei morti. A guidarlo non è tanto l’alta cultura europea, per cui Napoli rappresenta un’inesausta fonte di estraneità, quanto piuttosto l’osservazione partecipante alla vita delle cosiddette persone semplici. Nei vicoli della Sanità, nelle cripte delle “Anime del Purgatorio”, con i camorristi che si presentano come assistenti sociali, attraverso l’amicizia con le veggenti che vogliono far parlare i morti e quindi rovesciare il clientelismo politico, appare chiaro, tra le altre cose, che la vita quotidiana rappresenta il segreto più grande, la famiglia un mistero e la città una crisi permanente.

Dal risvolto

Last things before the last: si trovano a Napoli o nelle sue immediate vicinanze le tombe di Virgilio e Leopardi, le grotte profetiche nei dintorni (l’antro della Sibilla cumana, tuttora oggetto di controversie), l’ingresso al regno dei morti (il lago d’Averno), la Camorra, i grandi e piccoli delinquenti, le sceneggiate napoletane, talora mortali e rese celebri dal cinema, l’innata arguzia degli umiliati e offesi, la loro ironia fatalistica e l’illuminismo iperbolico, esercitato come fine a se stesso perché tanto si sa che non c’è verso di cambiare le cose. Lungo le strade, superficiali o sotterranee, all’ombra del Vesuvio, gli uomini inseguono i misteri della morte e della fertilità: “Ma dove c’è il pericolo, cresce / anche ciò che salva”. Così si concepisce l’unità della “vita intera” che ha tanto colpito i viaggiatori del nord, da Goethe a Susan Sontag, che l’hanno poi compendiata, con un grado variabile di originalità, nella categoria del “dionisiaco”. La vita intera, però, è ciclica e in quanto tale limitata. Per questo, la Napoli esplorata letterariamente, o la napoletanità, non va oltre la città – o si spinge appena al di là – e in questa concezione esclusiva gli abitanti e i visitatori si rafforzano reciprocamente. Sia simbolicamente sia dal punto di vista progettuale, Napoli viene concepita dall’esterno come un luogo a sé, come “l’altra Italia” rispetto al resto della nazione, spesso anche come concentrato di quest’altra Italia e quindi sempre al limite tra realtà e metafora. Si può dunque liquidare Napoli – e Napoli può farlo col resto del paese – relegandola al piano simbolico (o a quello “simbolico-realistico”, per via della sopra citata attribuzione di ruoli, che lascia incontaminato il resto del Paese). E coloro che hanno le loro attività a Napoli – gli avventurieri, gli indovini, le veggenti, i preti e i politici di ogni risma – si vedono come lavoratori intenti a rafforzare l’efficacia dei simboli.

Dalla premessa

U. von Loyen, Napoli sepolta. Viaggio nei riti di fondazione di una città, Meltemi 2020. Traduzione di Massimo De Pascale. Fotografie di Anja Dreschke.

Titolo originale: Neapels Unterwelt: Über die Möglichkeit einer Stadt, Matthes & Seitz Berlin 2018.

Ulrich von Loyen, nato a Dresda nel 1978, è etnologo e studioso di letteratura. Dopo aver ricoperto diversi incarichi accademici in Italia e Germania, attualmente insegna Teoria dei media all‘Università di Siegen.

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