Joë Bousquet
Per molto tempo ho fatto di tutto per realizzare un sogno che non conoscevo. Vivevo, andavo fino in fondo all’amore che avevo per la vita, impiegavo tutte le forze per una strana ambizione che comincio a riconoscere: volevo impedirmi di diventare qualcuno, essere quanto più reale possibile sotto le specie di un essere che nessuno saprebbe definire. Volevo essere un relitto.
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Il silenzio; ma non il silenzio di qui. Il peso del cuore in un’attesa estenuante. In seno a una dolcezza estrema l’assenza di tutti i rumori, ma, sorprendente e fugace, su questo silenzio, l’ombra di un essere abbastanza irreale per sentire ancora.
Tante cose così belle davanti a me che non ho sguardi per esse. Oggetti che si guardano come s’inseguirebbe il sogno di essere visti dagli oggetti.
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Ho capito: come potrei essere un facitore di racconti quando credo, quando so che certi istanti sono la forma inaccessibile dell’assoluto? Non avevo mai visto così chiaro nella mia natura e nel mio destino di scrittore. Tutto ciò che è interiore all’intelligenza non ci avvicina all’assoluto, ma ce ne allontata…
Com’è ricco questo giorno di vento e com’è profondo! Tutto ciò che non sono mai stato danza attorno al mio sguardo che lei ha rigenerato con il silenzio della sua bocca imbellettata. Non è letteratura. L’ora appena passata è profondamente aperta per richiamarmi le parole che scrivevo un tempo, il tempo del Presentismo. Lo capirebbe lei? Forse lo sa che la sua bellezza mette in gioco pensieri che non riconoscevo miei, che fa di me il cuore di una verità in cammino e che nulla si fermerà se lei vorrà comprendermi. È tutta luce; si è fatta donna per darmi l’opportunità, parlandole, di mettere un poco di noi due nella mia voce. Mi ha rivelato che scrivevo contro l’arte, contro la letteratura. La poesia stessa non è che un cammino verso certe vette che la realtà quotidiana è la sola capace di svelare. Un’arte nuova potrebbe nascere da una simile affermazione; mi prefiguro il manifesto che ne annuncerebbe l’evento. Ma considererò, nel più profondo della mia solitudine, le conseguenze pratiche della mia intuizione e i compiti che mi sono dettato – come le occupazioni che ormai mi sono vietate…
La bellezza non è un fine, ma un cammino verso le cose… Un’atmosfera per immobilizzarci davanti a una realtà da cui liberarsi.
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Io sono quest’uomo. Mi sveglio. Fin dai primi mesi del trentesimo anno di età ho ottenuto il favore di essere saggio. Nove anni dopo, una grazia immensa doveva essermi stata accordata: da domani avrò per sempre il coraggio di essere pazzo, di essere quest’uomo piuttosto determinato per convenire di conoscere unicamente un terribile nemico, il sonno. Deciso ad amare la vita, ma irritato nello scoprirla troppo ampia, troppo aperta. Ansioso di sapere quel che bisogna togliere allo spettacolo per renderlo reale.
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Ascolta, creerò un mondo nuovo con tutto ciò che viene detto a bassa voce; cerco già di scorgere colei che verrà ad abitarlo; se sono sempre distratto è perché l’aspetto per offrirle il mio cuore.
J. Bousquet, Tradotto dal silenzio, Marietti 1987. Traduzione e postfazione di Adriano Marchetti.