Fascinazioni

Jacques Prevel

  

[JACQUES PREVEL A ANTONIN ARTAUD]
9 APRILE 1946

Caro Signore,
la sua lettera mi ha portato una grande gioia, mi affretto a risponderle. Le mando un’altra copia delle mie poesie, adesso sono sicuro le arriverà, visto che ha lasciato Rodez, cosa che ugualmente mi fa grande piacere.
Grazie per aver pensato di inviarmi il suo libro Lettere di Rodez. Spero ora abbia ricevuto le bozze.
Marthe Robert, che ho visto stasera, mi ha espresso il suo entusiasmo per la lettura del manoscritto che le ha fatto avere e che deve uscire nella collana di testi pubblicati da «L’Heure Nouvelle». Ho fretta di leggerlo. Sfortunatamente Marthe non ce l’aveva più: l’ha consegnato per dattilografarlo. Ha però promesso di avvisarmi non appena le tornerà indietro. Anch’io ho appena terminato la mia seconda raccolta di poesie, Poèmes pour toute mémoire, uscirà presso un giovane editore, probabilmente in autunno. il lavoro è cominciato subito. Ci saranno 16 nuove poesie a comporre una nuova raccolta, più la ripresa di Poèmes mortels, che erano state pubblicate fuori commercio.
L’editore mi ha chiesto se per lei sarebbe possibile dargli il prossimo manoscritto. Lo annuncerebbe contemporaneamente al mio. Sono felice di comunicarle questo progetto, e spero avrà un manoscritto da presentare. Forse in questo momento sta lavorando a qualcosa.
Quanto a me, io lavoro nelle più grandi difficoltà, e le mie poesie sono il risultato di una lunga ricerca e di un’esperienza di diversi anni. Ho sempre la sensazione di non poter più scrivere niente.
Spero, caro signore, di avere presto sue nuove. Con tutta la mia amicizia,

Jacques Marie Prevel

  

[LETTERA RACCOMANDATA DI ANTONIN ARTAUD A JACQUES PREVEL]
RODEZ 14 APRILE 1946

Jacques Prevel
3bis, rue des Beaux-arts, Paris VI

Caro signore, 
di nuovo non sono più a Espalion ma al manicomio di Rodez dove mi hanno chiesto di tornare mercoledì 10 aprile scorso. Sembra ci sia stata nei miei confronti una telefonata della Prefettura, a Espalion conoscevo soltanto amici ma dopo le mie avventure a Dublino nel 1937 sono ben abituato alle dicerie false e calunniose sul mio conto.
Quando finalmente riuscirò, io che non ho mai attaccato chicchessia e al contrario ho sempre cercato di facilitare la vita di coloro che mi circondavano, QUANDO RIUSCIRÒ FINALMENTE A LAVORARE IN PACE.
Le Lettere di Rodez ancora non possono uscire. Sembra ci sia un problema tecnico con la stampa. Qui però mi hanno consegnato la copia del suo libro Peccati mortali (sic!), era rimasto in segreteria del manicomio e ho potuto leggerlo.
Il libro mi ha ricordato una vecchia, vecchia storia, molto antica. Perché le dico che non leggo mai una poesia direttamente? Prima di tutto diffido delle poesie belle e riuscite, che per la bontà delle parole o gli artifici dell’idea sono riuscite a recingere qualcosa di definitivo, nel quadro della loro eufonia o del loro dire.
Definitivo, ma breve. La poesia di Ronsard, come sul ramo nel mese di maggio la rosa, non so se dice bene una sensazione da nulla, tuttavia per me rimane una sensazione da nulla, con felicità di toni e parole troppo grandi e troppa felicità per quello che viene detto e che al massimo può avere il valore di una leccornia da five o’clock tea.
Vivo e morto il tuo corpo non sia che rosa.
Preferisco vedere un corpo strappato da Villon al cimitero degli innocenti, mi dice molte più cose, come la poesia deve fare.
E così mi è sembrato di leggere nel suo libro un destino drammatico e profano.

bambino mi sono stupito
di ritrovarmi in me stesso
d’essere qualcuno tra gli altri
pur essendo solo me stesso.
Mi sono incontrato
come qualcuno creduto morto
º
se ancora non si è conosciuta la mia voce
è che tutto è andato perduto prima di rifarsi
º
io che sono schiavo d’una forza potente
che ha marcato i miei tratti
e dato ai miei passi un diverso ritmo
º
una sera hai firmato
il patto delle rivolte
tornato dai sogni tornato dai morti
º
le stelle fracassate si spargono
da questa morte in mezzo a due vite
º
voi lo sapete vengo dalla notte
e cosciente sono un morto tra i morti

  

Sarei stupito che queste frasi che mi hanno colpito come vecchie formule prese da qualche libro dell’umanità di cui lei sarebbe l’autore e il resto del quale sarebbe sprofondato in un disastro:

  

se ancora non si è conosciuta la mia voce
è che tutto è andato perduto prima di rifarsi

  

sarei stupito, dicevo, che queste frasi non siano state l’asse d’un sentire che dopo tanti tormenti e materiali sconvolgimenti lei è riuscito a dire, al centro, nel mezzo, nel corso d’una poesia che ha voluto nuovamente costruire dopo il disastro da cui era stato trascinato.
La maggior parte dei mie libri e delle mie poesie sono venute per dire che non potevo dire nulla e nulla scrivere e per marcarne il disgusto. Percepivo una sensazione vera, che reggeva in una frase, e quella frase volevo puntellarla in una poesia intera come un vero mattone in un muro intero, ma non ci riuscivo. Non mi permetto mai, caro signor Jacques Prevel, di giudicare i versi di chicchessia, tranne quando si tratta d’un cafone meschino come quel tale grande poeta ufficiale del nostro tempo, o quando si tratta del poeta consacrato di cui rimane la poesia ma non il poeta.
Parlo di quella piccola scossa non separabile dall’autentico d’un dolore uscito dai cataclismi millenari che ha vissuto e vivrà sempre, che non potrà più sparire, mai. Non so se già le hanno fatto notare tutte queste piccole cose delle sue poesie, ma ho avuto la sensazione di un’emotività e di rivendicazioni emotive provenienti da molto lontano. Come lei conosco lo sfinimento che talvolta ci prende quando vogliamo che questo accada, che la poesia accada, mentre si è certi della sensazione centrale che ha spinto a scriverla, mentre si sente la parete murarti e opprimerti – e non si può più dire il centro, il nodo. Ma c’è, lei l’ha detto, lei ha detto il centro e il nodo e un giorno, presto, la parete salterà, la parete della gelosia dell’altro, lui, l’impotente di tutti i non-poeti della vita che sta su noi tutti e rapisce le parole quando scriviamo, salterà e le sue parole che GIÁ contengono la permanenza la mostreranno con il più terribile schianto,

suo,
Antonin Artaud


J. Prevel, In compagnia di Antonin Artaud, Giometti & Antonello 2015. A cura di Antonio Malinverno.

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