Trasfusioni

Suore che dipingono ninfee (Wallace Stevens), a cura di Antonio Devicienti

 

Suore che dipingono ninfee 

Questi baccelli sono parte della crescita della vita nella vita:
parte dei germogli impredicibili, così come dei

fiorellini più recenti, strani, gli occhi ancora coperti di peluria,
che potrebbero sopraggiungere a un lieve vacillare della scena,

un deviare, un inclinarsi, un piccolo allungarsi,
poche ore diurne in più, il dipanarsi

di un’estate più rosseggiante, una nascita che raggiungesse
il soprannaturale della sua origine.

Nei nostri strani cappelli sembriamo, su questa riva,
essere parte di un tessuto, una chiarezza dell’aria,

che s’intona, oggi, a una chiarezza della mente.
È un giorno speciale. Mormoriamo le parole

di santi mai uditi finora, senza nome,
in aureole che sono creste eccessivamente abbaglianti…

Siamo parte di una freschezza, inaccessibile
o accessibile solo nella più furtiva finzione.

 

Nuns Painting Water-Lilies

These pods are part of the growth of life within life:
Part of the unpredictable sproutings, as of

The youngest, the still fuzz-eyed, odd fleurettes,
That could come in a slight lurching of the scene,

A swerving, a tilting, a little lengthening,
A few hours more of day, the unravelling

Of a ruddier summer, a birth that fetched along
The supernatural of its origin.

Inside our queer chapeaux, we seem, on this bank,
To be part of a tissue, a clearness of the air,

That matches, today, a clearness of the mind.
It is a special day. We mumble the words

Of saints not heard of until now, unnamed,
In aureoles that are over-dazzling crests . . .

We are part of a fraicheur, inaccessible
Or accessible only in the most furtive fiction.

 


Dipingere, vedersi dipingere: lo sguardo di Wallace Stevens si posa, delicatissimo, su di un gruppo di suore che dipingono in riva a un lago – o meglio, sembra essere lo sguardo della scrittura a posarvisi, la quale, attraverso le parole e il loro ritmo, fa vedere allo sguardo della mente quelle suore che dipingono.
E le suore vedono, a loro volta, sé stesse dipingere, il loro dipingere è pensare, è sentire il proprio pensare acquistando consapevolezza del sentire e del pensare, riconoscendosi parte di un tutto.
Felicità del sentirsi pensare.
Dipingere ninfee significa cogliere il variare della stagione, spiare il dischiudersi dei germogli, le sprezzature della luce.
Posseggono la leggerezza di creature dell’acqua e dell’aria queste suore coi loro “strani cappelli” che richiamano le abbaglianti aureole di santi sconosciuti; la chiarezza della mente è la chiarezza dell’aria, la trasparenza del pensiero conduce a cogliersi parte di una crescita vitale, di un tessuto, di una freschezza e lì stanno le suore, le immagino sedute su bassi sgabelli pieghevoli, i fogli di carta per acquerello o per carboncino o per matita sulle ginocchia, posati sull’erba accanto i contenitori dei colori, dell’acqua, dei gessetti, lì, intendo, sulla riva-soglia, perché è quella riva che segna l’accesso alla più “furtiva finzione”, all’istante cioè della creazione artistica.
E l’avvicinamento dello sguardo-scrittura a quella soglia ha forma di mormorata preghiera o di un’annunciazione, per me entrambe rigorosamente laiche, tutte immerse nella luce del mondo, nell’avvento del poema.

(Composto nel 1950 il testo fu pubblicato postumo).

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