Czeslaw Milosz
[…] Se si volesse definire con una parola ciò che è accaduto, il termine giusto sarebbe «disintegrazione». La gente vive sempre – più o meno consapevolmente – all’interno di un certo ordine, ed è incapace di immaginare che un giorno quell’ordine possa venire meno. Il crollo repentino di tutte le opinioni e le norme correnti si verifica di rado, e solo in epoche particolarmente tempestose. Qualcosa del genere sperimentò forse la generazione di francesi che visse la rivoluzione e le guerre napoleoniche, e probabilmente passarono attraverso una simile prova anche gli americani del Sud che al termine della guerra civile assistettero alla rovina completa del loro modo di vivere. In generale, tuttavia, l’Ottocento non ha conosciuto cambiamenti così rapidi e violenti come quelli occorsi nel secolo successivo, paragonabili forse solo a ciò che avvenne ai tempi della guerra del Peloponneso quale la conosciamo da Tucidide. Nondimeno, la disintegrazione di cui parlo aveva già avuto luogo nell’Ottocento, ma sottotraccia, e perciò era stata notata soltanto da pochi. Il patto siglato da Hitler e Stalin il 23 agosto 1939 scoperchiò il vaso di Pandora, portando alla luce tutti i veleni europei. Giunsero così a compimento processi già avviati da tempo, che aspettavano solo l’occasione per rivelarsi. Se vogliamo capire come reagì a tutto ciò la poesia, bisogna ricordare questa particolare logica degli avvenimenti. Proclamando la fine della cultura europea, forse Dostoevskij era guidato in larga misura dal suo antioccidentalismo russo. Ma fu proprio così che i poeti in Polonia interpretarono l’inabissarsi progressivo dell’Europa nella disumanità: come la fine e lo screditamento dell’intera cultura europea.
L’accusa maggiore – in un primo momento troppo difficile da formulare, ma infine emersa – che venne rivolta alla cultura fu di aver mantenuto una fitta rete di significati e simboli come mera facciata dietro cui in realtà si stava preparando un genocidio. La religione, la filosofia e l’arte, di conseguenza, cominciarono a essere guardate con sospetto, in quanto complici nell’illudere l’uomo con un velo di nobili idee con l’unico fine di nascondere la brutale verità sull’esistenza. Solo ciò che aveva un fondamento biologico appariva vero, e così tutto si riduceva a una lotta interna a una specie assolutamente simile alle altre specie animali, e alla «sopravvivenza del più forte». […]
C. Milosz, La testimonianza della poesia, Adelphi 2013. A cura di Andrea Ceccherelli.