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Marco Vetrugno, Apoteosi di un allucinato, QED 2024

 

[…] Mosso dall’inquietudine e dalla rabbia, Boris affilava ogni solipsismo fino allo sfinimento, all’esaurimento, a costo di veder dissipato tutto, a costo di annientarsi.
Quei continui invasamenti, quel palese senso di scollamento, gli conferivano un’aria nubìvaga, un’oscura preveggenza, un’angoscia indecifrabile.
Mantenendo un passo svelto, un ritmo serrato, l’uomo errava come suo solito nelle ore che più amava, quelle del tramonto, intento a osservare i processi di spegnimento, quei momenti, quei meccanismi inintelligibili, quelle velature crepuscolari, quelle ore deputate all’attesa.
La ricerca, l’intorpidimento, la promessa disattesa del riposo, l’illusione della quiete, erano solo preliminari, sintomi, come lo scontornarsi delle forme che lo circondavano, come i lampi che precedono la furia.
L’indizio ultimo dell’opacità segnava l’ascesa della notte, della notte onnivolgente che non chiede mai permesso, che imperturbabile si palesa, della notte definitiva, del buio.
Il buio è nemico di chi ha visto troppo, c’è sempre qualcosa che si muove, che striscia o sorvola, al suo interno. Il buio dei dissanguamenti, il buio delle degenerazioni, il varco in cui gli istinti si insinuano, si palesano, facendo vacillare e cedere una volontà già di per sé inane, esausta. […]

Da Apoteosi di un allucinato

Quella di Vetrugno, in questo esordio narrativo, è già la letteratura-di-Vetrugno, simile a niente altro in circolazione. Epigono di nessuno, ma discendente da una genealogia lucidamente variegata e individuata nel corso di un’esistenza devota ai libri (Toma, Bernhard, Beckett sono la Trinità originaria, ma si affonda verso Burger, Morselli, Fosse e molto altro), Vetrugno compone un’allucinazione che emette orrori e vitalismo, nero totale e luci abbacinanti. Questo non è (solo) un romanzo in cui si raccontano vicende sconcertanti, drammi oscuri e sprofondamenti intrapsichici: è una tela lordata sulla quale emergono volti commoventi dipinti con il sangue; è una composizione disarmonica che permane nella memoria di chi legge come un ritornello ossessivo.

Dalla Prefazione di Andrea Donaera

M. Vetrugno, Apoteosi di un allucinato, QED 2024.

Marco Vetrugno è nato a San Pietro Vernotico nel 1983. Vive a Lecce. Ha pubblicato le raccolte di versi Poetico delirio (Lupo 2012), Organismi cedevoli (Manni 2014), Le mie ultime difese (Manni 2015),  Proiettili di-versi (Musicaos Editore 2016). Nel 2017 pubblica Mùtilo. Un monologo per il teatro (Musicaos Editore) e nel 2018 Apologia di un perdente (Elliot). Per il Magazzino di Poesia di Spagine (a cura di Mauro Marino) è autore della raccolta I versi del panopticon (2014).

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