Carlo Ragliani, La carne, Ladolfi Editore 2024
non abbiamo voce
ulcerato l’amore
laddove le mani
possono toccarsi
non vittoria
alcuna s’invera
*
il desiderio scarifica
l’offerta
vanifica l’empietà
irredenta
termina nella colpa
senza peccato
l’impurità
senza nome
senza corpo
*
il carnato
tartaglia
avanti al silenzio
avanti all’ostia
avanti al nulla
che si accumula
sul limite di quanto
è adontato
nello splendore
del flagello
Feci un sogno: il pavimento s’era fatto di sabbia, e i corpi mozzati, i tronchi del cadavere e di me, vi rotolavano in una specie di tetro sumo, un combattimento rituale antitetico all’essenza del sumo giapponese, in cui la lotta ha la durata di una scintilla e il dramma non ha tempo di nascere, il meraviglioso non si attarda ad essere, e non muore.
In questo sogno il tratto della spinta era sostituito da quello di un faticoso trascinamento, dall’avvinghiarsi dei corpi mutilati in una guerra immobile, in un conflitto senza fine.
Ed è questo che mi suggerisce la seconda opera di Carlo Ragliani, La carne, che segue Lo stigma (italic, 2019): l’asfissia di uno stambugio, un cadere-caduta, un cadere nella caduta le cui trepidazioni imprimono sulla sua immagine un movimento imbrigliato, e perciò stesso potentissimo (Ianus Pravo).
Dalla quarta di copertina
C. Ragliani, La carne (2017-2023), Ladolfi Editore 2024. Introduzione di Ianus Pravo. Illustrazioni di Andrea Nicolato. Lettera in calce di Giorgiomaria Cornelio.
Carlo Ragliani (Monselice, 1992), laureato in giurisprudenza presso l’ateneo rodigino dell’università di Ferrara, è redattore di «Atelier» e caporedattore di «Atelier online». Ha pubblicato Lo stigma (italic, 2019).